Il lago delle oche selvatiche recensione film di Diao Yinan con Hu Ge, Gwei Lun-mei, Liao Fan, Wan Qian, Qi Dao e Chloe Maayan
Ne Il lago delle oche selvatiche ci sono guardie e ladri, inseguitori e inseguiti: personalità ben distinte e agli antipodi, ma alle volte il filo che li distingue è sempre più labile. In concorso alla settantaduesima edizione del Festival di Cannes, Il lago delle oche selvatiche è il secondo lungometraggio di Diao Yinan dopo il famoso Fuochi d’artificio in pieno giorno, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino.
Ci troviamo a Wuhan e Zhou Zenong (la star televisiva Hu Ge), appena uscito di prigione, viene immediatamente coinvolto in una lite fra bande rivali e per sbaglio uccide un membro delle forze dell’ordine, diventando così l’uomo più ricercato del Paese con una taglia sulla sua testa di ben 300.000 yuan.
Zhou non sarà da solo in questa fuga: il suo boss gli fa recapitare un messaggio tramite Liu (Gwei Lun-mei), una “signorina da spiaggia”, così chiamata perché la prostituzione veniva fatta proprio sulle sponde del lago delle oche selvatiche. I due affronteranno insieme questa caccia all’uomo, entrambi con l’unico obiettivo di ritrovare la libertà e perché no anche l’amore. Zhou cerca la moglie ma è Liu che si innamorerà di lui.
Con Il lago delle oche selvatiche Diao Yinan, come Bong Joon-ho, ci racconta un sobborgo di Wuhan: una realtà governata dalla criminalità e da un popolo che non conosce la redenzione. Eppure, nonostante la lucubre ambientazione e il tema noir, la regia ci regala un’immagine curata e impeccabile.
Il lungometraggio è un sapiente mix di elementi: l’uso della luce al neon ispirata a The Neon Demon di Refn, un montaggio serrato e incalzante simile ad un servizio del telegiornale quando si tratta di inseguimenti e violenza splatter contrapposto a momenti di dilatazione temporale e contemplazione di spazi vuoti come unico momento di riflessione esistenziale che hanno come riferimento il cinema di Jia Zhangke e Wong Kar-wai.
Con Il lago delle oche selvatiche Diano Yinan si dimostra ancora una volta capace di raccontare il dolore e i dubbi dell’uomo comune ricordandoci come, in fondo, si scappa sempre da qualcosa.