Il male non esiste recensione film di Ryūsuke Hamaguchi con Hitoshi Omika, Ryo Nishikawa, Ryuji Kosaka, Ayaka Shibutani, Hazuki Kikuchi e Hiroyuki Miura
Ryūsuke Hamaguchi ci aveva lasciato con un viaggio alla ricerca di se stessi, di un posto nel mondo e di un desiderio di interfacciarsi con altre culture. Un film, Drive My Car, che aveva conquistato sia pubblico sia critica, riuscendo a vincere numerosi premi nel mondo.
Con Il male non esiste (in originale Aku wa sonzai shinai) riprende il viaggio, ma questa volta il percorso fisico di Drive My Car diventa spirituale, poiché cambia la prospettiva del personaggio principale. Se nel citato pluripremiato capolavoro avevamo un uomo voglioso di fare nuove esperienze, nel nuovo lavoro di Hamaguchi abbiamo una figura rinchiusa in se stessa e distante dalle logiche della società moderna.
Il nuovo film del regista de Il gioco del destino e della fantasia racconta di Takumi, un uomo solitario che vive insieme alla piccola figlia Hana in un villaggio nei pressi di Tokyo. Con l’arrivo di alcuni funzionari che vorrebbero costruire dei glamping, luoghi preposti per svagarsi nel bel mezzo della natura, sarà per Takumi l’inizio della discesa in degli inferi ancor più spettrali del solito. La quiete dopo la tempesta appare solamente come un miraggio.
Il male non esiste (proprio come il titolo italiano del bellissimo film di Mohammad Rasoulof) è un lungometraggio girato in pochi spazi, una casa e il bosco adiacente principalmente, come ad incrementare il senso di oppressione che permane nel corpo del protagonista.
Infatti, Ryūsuke Hamaguchi focalizza la sua attenzione sui movimenti corporali del personaggio cardine e seguendolo in ogni passo crea una sorta di connessione con quest’ultimo, andando alle volte a sostituirsi. In pratica Hamaguchi nella sua nuova pellicola si sostituisce in maniera frequente all’attore protagonista, diventando lui stesso il complesso attante di tutto l’arco narrativo. Non è un caso quindi che Il male non esiste si apra con una sequenza dove i personaggi sono assenti e rilegati fuori dall’inquadratura frontale.
Uomini dolenti a parte, il lungometraggio ci racconta di un Giappone rurale ferito nell’orgoglio, per via di una industrializzazione sempre più presente, anche in posti all’apparenza slegati da un progresso imperante e a volte dannoso. Una nazione che forse non riesce più a divedersi in due parti: quella commerciale e quella naturale.
È interessante vedere come questa ferita sia penetrata anche nel corpo di Takumi, tanto da avergli divorato la psiche ed incrementato i traumi interiori che lo attanagliano. Il finale simbolico e ad un primo sguardo di difficile decriptazione (si fa fatica a comprendere alcune scelte improvvise del protagonista) n’è inevitabilmente una prova lampante e al tempo stesso disarmante. Quello a cui si assiste è uno spettacolo brutale e senza preavviso, dove l’umanità sembra aver smarrito le proprie coordinate.
A differenza di Drive My Car, Il male non esiste è un film ostico e complesso, che spinge lo spettatore ad immergersi in una spirale decisamente malsana. Nonostante ciò è un lungometraggio entusiasmante grazie alla rinomata regia ispirata di Hamaguchi, un’intricante ed articolata scrittura ed un comparto sonoro (meravigliose le musiche di Eiko Ishibashi) struggente.
Hamaguchi con Il male non esiste non solo firma un ulteriore capitolo dei viaggi nei meandri più nascosti del Giappone, ma soprattutto un’opera spiazzante, glaciale e distantissima per immaginario e dimensione visiva rispetto alle precedenti.
Forse inusuale e a primo acchito lontano dalla sua poetica, eppure tremendamente bello da lasciare senza fiato. Un nuovo capolavoro nella sua filmografia.