Il materiale emotivo recensione film diretto ed interpretato da Sergio Castellitto con Bérénice Bejo, Matilda De Angelis, Clementino e Sandra Milo
Il materiale emotivo è l’ultima opera di Sergio Castellitto, prodotta da Rodeo Drive insieme a Mon Voisin Productions, Rai Cinema e Tikkun Productions. La pellicola si basa su una graphic novel scritta dal regista italiano Ettore Scola prima della sua morte nel 2016: Un drago a forma di nuvola. La sceneggiatura è stata adattata dallo stesso Castellitto e dalla scrittrice Margaret Mazzantini.
L’opera – girata in una stradina ricostruita di Parigi – è stata sapientemente progettata come uno spettacolo teatrale, un gioco di entrate e di uscite, un turbinio di dialoghi e flussi di coscienza deliranti:
Non è un caso se Il materiale emotivo si apre e si chiude con un sipario. Volevo stringere un patto con il pubblico. Anche certe emozioni sono state controllate. Non c’era spazio per sbavature o per eccessi. Ho quasi disegnato i sentimenti.
(Sergio Castellitto, Il materiale emotivo)
Il materiale emotivo: la trama
Vincenzo (Sergio Castellitto) dedica la sua intera vita alla libreria che possiede a Parigi e a sua figlia Albertine (Matilda De Angelis), costretta a rimanere a casa a causa di un incidente accadutole qualche anno prima. Un giorno Yolande (Bérénice Bejo), una ragazza esuberante, eccentrica, divertente e bellissima, irrompe nel negozio di Vincenzo. Affascinato dalla sua energia vitale, l’uomo ricomincia a provare emozioni da troppo tempo represse, quel “materiale emotivo” che lo porterà a mettere in discussione il suo modo malinconico e in qualche modo sospeso di affrontare la vita.
“Poche luci, tanto rumore”
Il materiale emotivo è il racconto intimo della vita di un uomo che si è arreso ai suoi dolori soverchianti, alle esperienze negative del suo vissuto e che trova rifugio e diletto tra quelle pagine di letteratura così antiche, sagge ed eterne, poiché come sostiene il libraio “l’attualità uccide” l’animo.
Una storia decisamente poco originale, improbabile e datata. Un racconto d’amore che si focalizza troppo sul sentimento impossibile di due mondi opposti e che si concentra troppo poco sul più vero rapporto padre-figlia. Una narrazione che vuole mettere al centro le emozioni e i drammi ma che finisce col tagliare fuori la parte più vera della rappresentazione del trauma, della depressione e della disabilità. Un padre che, mentre (ri)scopre le sue emozioni sopite, dimentica la figlia in soffitta, rinchiusa nella sua prigione e che viene lasciata sospesa così su quel labile confine tra depressione e rinascita.
Risulta parecchio difficile, quindi, riuscire ad empatizzare con i vari personaggi presenti in quest’opera, ennesime copie di personaggi che nel cinema italiano sono visti e rivisti, a cui si aggiunge un insieme di tematiche troppo idealizzate e decisamente lontane dalla realtà. Nota particolarmente positiva invece è il ruolo di Albertine, con una splendida interpretazione di Matilda De Angelis la quale, nonostante i pochi momenti in cui appare sullo schermo, riesce a raccontare l’intima prigionia del suo personaggio, la sua grande tristezza, la crescente rabbia e il perenne malessere.
Un film girato tutto in interni e dove proprio i suddetti spazi imprigionano i personaggi e le loro emozioni in queste “personalissime” carceri: la libreria, così come i libri rappresentano la prigione di Vincenzo; la soffitta, la sedia a rotelle sono emblema della prigionia fisica e mentale di Albertine, così come il teatro e le sceneggiature improvvisate lo sono per Yolande.
La sceneggiatura del film, tuttavia, mostra “poche luci e tanto rumore” citando le parole di Yolande e risulta tanto delicata quanto asettica, in quanto cerca di raccontare il “dramma della vita” ma spogliandolo completamente delle sue sfumature più forti, rendendo il tutto una semplice e superficiale citazione. Castellitto vuole raccontare le emozioni rinate, l’adrenalina sopita, l’amore perduto eppure non centra il suo intento principale e quel materiale emotivo non sembra funzionare come dovrebbe. Dagli spettatori più cinici e meno emotivi, la pellicola potrebbe essere vista come un ultimo grande esercizio di stile e un incrocio quasi forzato tra letteratura, teatro e cinematografia.
Tanto che alla fine, ci si potrebbe chiedere, cos’è questo “materiale emotivo”?
È tutto ciò che viene rappresentato e messo in scena; sono i nostri segreti, le nostre occasioni mancate, è la nostra mediocrità. Anche l’emotività ha un corpo. Qualcuno lo chiama inconscio, qualcun altro cinema. È come il mare di notte, così difficile da rappresentare sul grande schermo: è una cosa che ci inquieta profondamente.
(Sergio Castellitto, Il materiale emotivo)
Una grande ode a lasciare andare le proprie emozioni che rimangono purtroppo lì, sospese e confinate in quella finzione: troppo elegante e curata per sembrare vera, troppo poco emotiva per essere davvero coinvolgente.