Il miglio verde è una delle trasposizioni di Stephen King più apprezzate di sempre. Lo ricordiamo oggi per il 22° anniversario della sua uscita italiana
Il 10 marzo 2000 usciva nelle sale italiane Il miglio verde, una delle trasposizioni dai romanzi di Stephen King più apprezzate di sempre. Il film è, infatti, tratto dall’omonimo romanzo di King del 1996 e diretto da Frank Darabont.
Il film si apre nel 1999, in Louisiana, in una casa di riposo: qui vive l’anziano Paul Edgecombe, che inizia a raccontare ad una sua amica come ha conosciuto John Coffey.
Torniamo indietro al 1935: due bambine, figlie di un contadino, vengono stuprate e uccise. Sul luogo, viene trovato un afroamericano, il suddetto John Coffey, il quale viene ritenuto colpevole e condannato a morte.
Paul Edgecombe era una guardia carceraria, nel braccio della morte, della prigione di Cold Mountain; il settore era stato rinominato “Il miglio verde”, dato il colore della pavimentazione verde cedro e perché si trattava del corridoio per la sedia elettrica, gli ultimi metri percorsi dai condannati a morte.
Ed è qui che Paul conosce John Coffey: quest’ultimo, nonostante la statura imponente, appare fin da subito molto silenzioso, generoso e a tratti infantile, poiché chiede che venga tenuta accesa la luce, durante la notte, perché ha paura del buio.
Paul non crede nella sua colpevolezza, a differenza del suo sadico collega Percy, che tortura chiunque gli capiti a tiro.
Col passare del tempo, Paul capirà che Coffey ha delle doti straordinarie che lo aiuteranno nella sua vita privata.
Frank Darabont torna a dirigere una pellicola tratta da un’opera di Stephen King, dopo il cortometraggio The Woman in the Room e l’acclamatissimo Le ali della libertà, film ormai diventato cult cinematografico, tra le trasposizioni preferite dello scrittore.
A spiccare sono sicuramente Tom Hanks, che interpreta Paul Edgecomb, Michael Clarke Duncan che interpreta John Coffey e Sam Rockwell, che interpreta “Wild Bill” Wharton.
Completano il cast David Morse, Bonnie Hunt, James Cromwell, Michael Jeter, Graham Greene e Doug Hutchison.
Con Il miglio verde, Stephen King scrive una delle sue storie più toccanti, mescolando elementi fantastici a storie di vita quotidiana.
Nella storia, infatti, l’universo è concentrato nel braccio della morte in un carcere. Qui scopriamo le storie delle guardie carcerarie, ma anche dei detenuti, con uno spiccato confine tra il bene e il male.
Ma improvvisamente, arriva qualcuno che riesce a sfumare quei confini: John Coffey è apparentemente colpevole, ritrovato disperato con in braccio due bambine violentate, ormai morte. La società di quel tempo lo bolla subito come colpevole, anche a causa del colore della sua pelle e lo condanna a morte.
Solo dopo scopriremo che quell’uomo, ritenuto colpevole, aveva solamente cercato di salvare quelle due bambine e che il destino vuole un altro finale per quella storia.
La sceneggiatura è asciutta e lineare e, nonostante la trama intensa, non si perde in sentimentalismi e fronzoli. La storia viene rappresentata così com’è raccontata da King ed è proprio questo che emoziona lo spettatore. Il ritmo lento, ma incalzante, ricorda proprio il cammino dei condannati a morte per quel “miglio verde”, con una destinazione drammatica, ma inevitabile.
Tom Hanks dà prova, ancora una volta, del suo talento, soprattutto nel dramma. Non è da meno Michael Clarke Duncan che, nella pellicola, rappresenta tutto il bene che c’è nel mondo.
Ed è proprio su loro due che si poggia la forza della pellicola: Paul è lo spettatore che vive nel dubbio della colpevolezza di Coffey: come può un uomo del genere, un uomo che ha paura del buio, aver compiuto un’atrocità come quella?
Nonostante le prove dimostrino il contrario, John va a fondo della vicenda e scopre la verità: Coffey è innocente.
Dall’altra parte, Coffey rappresenta, come detto, il bene nel mondo: è un uomo vittima della società e delle vicende che lo hanno portato lì, nel braccio della morte. Nonostante siano i suoi ultimi giorni di vita, cerca di portare via il male dalle persone, come l’infezione urinaria di Paul e il tumore di Melinda, la moglie del direttore del carcere. Ma tutto questo male e questo dolore lo logorano da dentro. Così, quando ormai è arrivata la sua ora e le guardie carcerarie vogliono aiutarlo a scappare, lui preferisce morire, perché non sopporta più tutto quel dolore.
Nel personaggio di Coffey è chiara la metafora di Cristo: nei suoi poteri non ordinari, nella sua benevolenza e gentilezza. Ogni volta che esercita il suo potere, espelle uno sciame di mosche fuori dalla bocca, una sorta di liberazione dal male. Proprio per questo, il suo destino sembra già segnato fin dall’inizio.
L’opera di King e la trasposizione di Darabont esplorano la natura umana, seppur con elementi fantastici e ci portano ad un’importante riflessione sul bene e sul male.
Darabont riporta lo spettatore nell’ambiente carcerario, dopo Le ali della libertà, ma qui abbiamo un taglio più emozionale, per una storia che si discosta dai confini della realtà. Quello che percepiamo dalla sua regia è il profondo rispetto per l’opera originale, che lo porta a non snaturare il romanzo, ma a riportarlo semplicemente su pellicola.
Ovviamente occorre fare una menzione speciale ai protagonisti, che riescono a portare in scena tutte le emozioni dei loro personaggi, in maniera naturale e mai artefatta.
Il miglio verde ha tutti gli elementi per essere una buona pellicola: una sceneggiatura solida, una buona fotografia e performance eccellenti da parte dei protagonisti. Il film ci racconta uno spaccato di vita vera in un carcere, ma con un elemento “fantastico”, che fa riflettere lo spettatore su diversi temi di forte impatto emotivo, come la questione razziale e la pena di morte, dimostrando che nessun uomo merita una condanna simile, a prescindere dalle sue colpe.
Alcune curiosità sul film
- Il miglio verde è stato nominato a quattro Oscar, Miglior film, Miglior attore non protagonista per Michael Clarke Duncan, Migliore sceneggiatura non originale e Miglior sonoro, vincendone, però, nessuno;
- Il film è girato quasi totalmente in un carcere vero: sia le scene esterne che quelle interne sono state girate al Tennessee State Prison;
- Michael Clarke Duncan è stato consigliato al regista da Bruce Willis, dopo Armageddon;
- Darabont ha deciso di usare alcuni particolari tipi di inquadratura e altri accorgimenti per rendere Michael Clarke Duncan più “grosso”, rispetto agli altri e rispecchiare la descrizione del “gigante buono” del romanzo di King.