Il Nibbio recensione film di Alessandro Tonda con Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco e Lorenzo Pozzan [Anteprima]
Una cosa che il cinema ha spesso fatto dalla propria nascita è stato guardare al passato per riflettere sul presente. Ecco quindi che, in un’epoca segnata da varie tensioni tra nazioni che rischiano di sfociare (o sono già sfociati) in conflitti armati, arrivano film che parlano di tensioni internazionali del passato. Tra questi abbiamo Il nibbio, seconda opera di Alessandro Tonda (aveva esordito nel 2020 con The Shift).
La trama ruota attorno al rapimento di Giuliana Sgrena, giornalista de Il manifesto, avvenuto nel 2005, mentre la donna si trovava in Iraq per lavoro. L’Agenzia di Informazione e Sicurezza Esterna (all’epoca dei fatti SISMI) incaricò Nicola Calipari, alto dirigente, di trattare con i rapitori per liberarla senza aggravare i tesi rapporti internazionali dell’epoca. Durante il film seguiamo i 28 giorni tra il rapimento della Sgrena e il momento della sua liberazione, che si concluse in modo assolutamente inaspettato. Alle trattative, si alternano le vicende personali di Calipari, impegnato a far convivere la propria difficile professione con la vita famigliare (anche perché i figli non sanno quale lavoro svolga davvero il padre).
Alessandro Tonda dimostra alla sua seconda prova dietro la macchina da presa di avere una grande solidità nella messinscena, confezionando un racconto in grado di intrattenere per due ore senza risultare troppo pesante, pur senza avere il ritmo accelerato di molti thriller di stampo americano. Parallelamente riesce a proporre una riflessione sul modo più corretto per comunicare e trattare con le persone in situazioni delicate.
Non mancano inoltre punte di satira verso una certa realtà italiana, caratterizzata da persone poco preparate invidiose dei veri professionisti e che, nel tentativo di dimostrarsi superiori, finiscono per complicare inutilmente situazioni già delicate di loro. Il modo in cui gli Stati Uniti gestiscono queste crisi è un altro bersaglio di critica. Un metodo troppo basato sull’eccesso di sfarzo di mezzi spettacolari e per questo poco efficace, in quanto manchevole della necessaria calma per gestire situazioni che comportano il rischio di perdere vite umane.
I difetti maggiori si trovano principalmente nella gestione della vita privata di Calipari, elemento interessante quanto sfruttato labilmente (soprattutto il rapporto con la figlia maggiore è liquidato con un paio di sequenze che vanificano la possibilità di un maggiore sviluppo psicologico), e in una serie di elementi che rendono il finale fin troppo prevedibile anche per chi si reca al cinema senza conoscere i dettagli della vicenda reale. In questo senso è evidente l’intento di creare un senso di tensione dato dalla consapevolezza che gli eventi prenderanno inevitabilmente una piega drammatica, ma in questo modo si rinuncia a un senso di sorpresa che sarebbe potuto risultare ancora più impattante.
Ma la bravura sia del comparto tecnico sia del cast (su cui spicca un sempre ottimo Claudio Santamaria nel ruolo da protagonista) e le riflessioni proposte rendono il film sicuramente meritevole di una visione.
