Il Primo Uomo (First Man) rappresenta un cambio di registro per il talentuoso regista statunitense Damien Chazelle che, messe momentaneamente da parte le atmosfere jazz delle sue opere precedenti, si cimenta con un’impresa non semplice: trasporre sul grande schermo le gesta di Neil Armstrong.
Quello di Chazelle è un biopic che ha uno sguardo profondamente umanista, orientato cioè a comprendere le ragioni che hanno spinto l’astronauta a compiere questo straordinario viaggio. C’è una forma di elaborazione del lutto dietro alla sua ostinazione, la volontà di trovare lassù tra le stelle un qualcosa che lo faccia tornare in contatto con l’amata figlia, morta in tenera età per un cancro incurabile.
Il film alterna i due piani: quello dell’Armstrong uomo, accompagnato da una moglie che gli dà forza e che lo sostiene nei momenti di maggiore difficoltà (e sono molti), e quello dell’Armstrong astronauta, geniale e tenace nel suo proposito di approdare alla fine del suo percorso sulla Luna.
Chazelle conferma le sue capacità stilistiche e il suo sguardo, delineando una parabola che non manca di toccare le corde emotive dello spettatore, soprattutto nella parte più intimistico-familiare. Non sembra mancare nulla a First Man, eppure si avverte uno scarto rispetto a quanto proposto in passato dal regista.
Il suo nuovo film, infatti, difetta di quel tocco di personalità che aveva elevato Whiplash e fatto entrare direttamente nella storia del cinema La La Land. Parliamoci chiaro, siamo di fronte a un’opera più che dignitosa, molto ben girata e con un paio di sequenze memorabili (soprattutto quella sulla Luna).
La scelta di inquadrare lo spazio da un’altra angolatura però non crea quel rilancio di un genere come il regista era stato in grado di fare con il musical. Ryan Gosling aderisce con mestiere al suo compito, è perfettamente credibile nei panni di Armstrong ed è ben coadiuvato da un cast di primo livello. Gli ingredienti, quindi, ci sono tutti, manca quel pizzico di magia. È comunque impossibile chiedere a un regista così giovane di sfornare un capolavoro dietro l’altro. Per questa volta, possiamo accontentarci di un buon film che ha il pregio di parlare di orizzonti infiniti in un momento di chiusura totale come quello che stiamo vivendo.
Sergio