Il processo ai Chicago 7 recensione film di Aaron Sorkin con Eddie Redmayne, Sacha Baron Cohen, Frank Langella, Joseph Gordon-Levitt, Mark Rylance, Jeremy Strong, Yahya Abdul-Mateen II e Alex Sharp
Ci sono i processi civili e i processi penali.
Non esiste una cosa chiamata processo politico.
(Il processo ai Chicago 7)
Tutto il mondo ci guarda: la 35esima Convention Nazionale del Partito Democratico del 1968 fu l’occasione perfetta per quattro gruppi, gli Studenti per una Società Democratica (Students for a Democratic Society), il Partito Internazionale della Gioventù (Youth International Party – YIP, meglio noti come yippies o hippies) il Partito delle Pantere Nere (Black Panther Party) e il Comitato di Mobilitazione per porre fine alla Guerra in Vietnam (National Mobilization Committee to End the War in Vietnam) per protestare pacificamente contro la Guerra del Vietnam e contro la Presidenza di Lyndon B. Johnson, artefice del disastro militare in Vietnam ferocemente perseguito anche dal successore, Richard Nixon.
I moti di Chicago sono tristemente noti per essersi trasformati in un durissimo scontro tra i manifestanti e la polizia unita alla Guardia Nazionale tra Brian Park, il parco limitrofo all’Hilton Hotel dove si svolgeva la convention dei Democratici, e le strade di Chicago, con undici morti, quattrocento persone ricoverate per le ferite riportate e migliaia di arresti.
Gli organizzatori della protesta, Tom Hayden e Rennie Davis (interpretati rispettivamente da Eddie Redmayne e Alex Sharp nelle vesti del leader degli Studenti per una Società Democratica), Abbie Hoffman e Jerry Rubin (interpretati rispettivamente da Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong, esponenti del Partito Internazionale della Gioventù), Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II dà vita al rappresentante del Partito delle Pantere Nere), David Dellinger, John Froines e Lee Weiner (John Carroll Lynch, Danny Flaherty e Noah Robbins nelle vesti di membri del Comitato di Mobilitazione per porre fine alla Guerra in Vietnam) furono arrestati e accusati di cospirazione finalizzata all’incitazione di una rivolta, ed il loro processo “politico” è divenuto uno dei più famosi e scandalosi nella storia degli Stati Uniti.
Mi dia un momento. Non sono mai stato sotto processo per i miei pensieri prima.
(Sacha Baron Cohen in Il processo ai Chicago 7)
Dal diniego del permesso di manifestazione da parte del sindaco di Chicago Richard Daley, che schierò undicimila poliziotti e seimila membri della Guardia Nazionale a protezione della Convention dei Democratici, all’applicazione della Legge Federale Rap Brown, emanata dal Congresso anche se mai utilizzata e finalizzata a perseguire gli “agitatori” forestieri che istigano alla rivolta comunità di persone al di fuori della loro città di appartenenza, Il processo ai Chicago 7 fu quasi unanimemente considerato un atto politico inqualificabile, mosso dal Procuratore Generale degli Stati Uniti John Mitchell (John Doman, Gotham) e dal suo Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America, su trama ordita direttamente dal Presidente Richard Nixon per colpire la sinistra radicale, responsabili di un autentico bagno di sangue che scosse gli Stati Uniti il 28 agosto 1968.
Ai sette, anzi agli otto considerando la Pantera Nera Bobby Seale, la scelta se difendersi da un processo politico o fare la rivoluzione, per quanto essa stessa abbia un significato profondamente diverso per alcuni di loro: Abbie Hoffman invoca una rivoluzione culturale tra raduni hippie e show davanti alle telecamere, l’attivista politico Tom Hayden confida nella democrazia delle elezioni e nell’espressione del potere politico per affermare i principi di giustizia, uguaglianza e progresso.
– Qual è il tuo prezzo per annullare la ribellione?
– La mia vita.
(Sacha Baron Cohen in Il processo ai Chicago 7)
Aaron Sorkin, autore delle sceneggiature di Codice d’onore, Malice – Il sospetto e premio Oscar per lo script di The Social Network, alla sua seconda regia dopo Molly’s Game, dirige un’opera spassosa e dal ritmo incalzante ricostruendo lucidamente ed abilmente un processo paradossale che vide il procuratore Richard Schultz (Joseph Gordon-Levitt) chiamare a testimoniare un numero incredibile di dipendenti federali che, per conto del Dipartimento di Giustizia, perpetravano di fatto un atto politico contro i manifestanti di Chicago, senza che le motivazioni dell’accusa potessero essere messe in discussione.
Motivazioni, si scoprirà poi, che erano state ritenute infondate pochi mesi prima dallo stesso Dipartimento di Giustizia, guidato dal precedente Procuratore Generale Ramsey Clark (Michael Keaton), poiché le indagini federali avevano concluso che era stata la polizia ad innescare gli scontri con i manifestanti, e non viceversa.
Non siamo stati arrestati. Siamo stati scelti.
(Sacha Baron Cohen in Il processo ai Chicago 7)
Sorkin rilegge Il processo ai Chicago 7 a favore dell’intrattenimento con un botta e risposta incessante che scandisce perfettamente i tempi comici: la violenza e la morte di quel tragico 28 agosto 1968 vengono tenute fuori dalla narrazione che si concentra quasi esclusivamente su quell’aula di tribunale in cui Sorkin spadroneggia da assoluto maestro.
Al contrario, le scene all’esterno si rivelano povere di dinamicità e pathos, poco curate nella rappresentazione, così come non del tutto efficace è la narrazione che le accompagna, da stand-up comedian, del personaggio interpretato da Sacha Baron Cohen che, nel tentativo di dare spessore alle suddette sequenze, risulta piuttosto un intermezzo intrusivo.
Tom ha cercato di picchiarmi, ma con la sola forza della superiorità intellettuale.
(Sacha Baron Cohen in Il processo ai Chicago 7)
Quando la morte del leader delle Pantere Nere Fred Hampton (Kelvin Harrison Jr.), giustiziato dalla polizia e dall’FBI durante un raid, e la violenza entrano “finalmente” in aula, e con esse emerge implacabilmente la profonda ingiustizia di un processo assurdo e paradossale, i toni e l’intensità de Il processo ai Chicago 7 si elevano ulteriormente, la drammaticità di quei giorni si manifesta commovente sulla pelle delle vittime del Vietnam e sulle tribolazioni di chi, cercando di travalicare i confini con la sola forza delle proprie idee, è stato ingiustamente picchiato, gasato, arrestato e messo sotto processo.
Il mostruoso Frank Langella nelle vesti togate dello spregevole Giudice Julius Hoffman, Sacha Baron Cohen e Aaron Sorkin sono da Oscar nel migliore film Netflix della stagione, impreziosito da una conclusione che è già cult.
Noi non andiamo in galera per quello che abbiamo fatto.
Noi andiamo in galera per quello che siamo.
(Sacha Baron Cohen in Il processo ai Chicago 7)