Il Re Leone: recensione del film di Jon Favreau con Donald Glover, Beyoncé, Chiwetel Ejiofor, James Earl Jones, John Oliver e le voci italiane di Marco Mengoni, Elisa, Luca Ward, Edoardo Leo, Stefano Fresi e Massimo Popolizio
Dai lontani ma mai terminati del tutto anni ’90 ritorna con furore un canone dell’intrattenimento per bambini. Soltanto bambini? Chi ha avuto la fortuna di vedere la storia di Simba nel cerchio della vita è statisticamente alle prese con i propri bambini e un contesto culturale completamente diverso. Scegliere di riproporre ad un pubblico nuovo sotto diversi punti di vista qualcosa che appartiene al passato è un rischio che si è fatto ormai tendenza anche nella produzione multimediale, ma che a conti fatti non dovrebbe essere una vera e propria sorpresa.
In principio erano la carta riempita a mano con l’inchiostro e poi stampata, poi la smaterializzazione operata da radio e televisione, infine la digitalizzazione del computer e di Internet. La parabola della comunicazione, in maniera estremamente grossolana, è la storia dell’aggiornamento progressivo delle nostre capacità e modalità di narrare la vita. Con l’acquisizione di nuovi mezzi tecnici e nuove consapevolezze, le storie non si esauriscono nel momento e nella forma in cui vengono raccontate per la prima volta ma diventano parte di un flusso comunicativo instabile ma teoricamente senza fine. Soltanto quelle che hanno la stoffa dell’universalità, però, possono sopravvivere.
Simba, Mufasa, Zazu, Scar e tutti gli altri personaggi de Il Re Leone sono una rappresentazione perfetta di questo flusso. Il secondo più grande incasso mai ottenuto dalla Disney (superato nel 2013 soltanto da Frozen), l’opera che ha plasmato l’immaginario di una generazione torna sul grande schermo per ottenere un upgrade visivo e formale che fa venire i brividi. È animazione quella che il film propone? È una nuova variazione sul tema dei film in live action? Gli animali dai tratti antropomorfi del passato hanno lasciato il posto a felini, facoceri, iene più vere del vero, come in una puntata di un documentario di National Geographic. Un dirigente della Disney prima dell’anteprima dedicata alla stampa l’ha definita photoreal e il risultato è talmente positivo da essere un problema.
Inevitabilmente infatti, il pensiero va alle sfumature che la commistione di matita e grafica computerizzata aveva dato agli abitanti di una imprecisata giungla africana. Ricercando in questo caso il vero, il peso della magia della storia ricade interamente sulle spalle dei doppiatori scelti. Se il cast americano annovera attori e musicisti non solo quotati ma credibili per il film, lo stesso non si può dire delle scelte operate sul versante italiano. Funzionano gli sparring partners, da Luca Ward – alle prese con la pesantissima eredità di Vittorio Gassman – a Massimo Popolizio, ma le star designate, Marco Mengoni ed Elisa, sembrano due pesci fuor d’acqua al cospetto dei colleghi italiani ed internazionali, lasciando che ad emergere sia soltanto l’aspetto più tecnico del lavoro di Jon Favreau.
D’altronde il dramma familiare shakespeariano dei felini è quello che sotto sotto ci ha sempre interessato e continuerà a farlo, mentre questa nuova versione probabilmente allargherà il pubblico e moltiplicherà gli incassi, ma probabilmente rimarrà un gradino sotto all’originale.