Il Regno del Pianeta delle Scimmie recensione film di Wes Ball con Owen Teague, Freya Allan, Kevin Durand e William H. Macy [Anteprima]
È ormai chiaro da anni che per Hollywood le saghe sono come gli esami: non finiscono mai. La quantità di tentativi di rivitalizzare saghe ormai date per concluse ha raggiunto livelli quasi demenziali, in una volontà ossessiva di attingere all’usato sicuro per avere la certezza di un buon incasso.
Molti tentativi sono falliti, con poche eccezioni. Una è stata la trilogia reboot del Pianeta delle scimmie, tuttora considerata non solo un ottimo esempio di reboot, ma anche di blockbuster alternativi, capaci di fondere lo spettacolo con importanti riflessioni politiche e sociali. Era pertanto inevitabile l’uscita di un nuovo capitolo.
A sette anni di distanza arriva quindi Il regno del pianeta delle scimmie, concepito sia come continuazione della storia sia come inizio di una nuova era nella saga. La vicenda è ambientata trecento anni dopo la fine della trilogia precedente, presentandoci un mondo ormai dominato in toto dalle scimmie intelligenti, mentre gli umani sono ridotti a stupidi animali incapaci di parlare.
Ricorrere a un time skip così marcato può apparire azzardato: non solo si rinuncia a ogni possibilità di fan service facile (introducendo versioni più anziane di personaggi già noti) ma anche ad alcuni degli spunti lasciati dalla conclusione della trilogia precedente (era facile immaginare un nuovo capitolo con protagoniste le versioni adulte dei piccoli Cornelius e Nova). Probabilmente non sapremo mai il vero motivo, ma si può ipotizzare una volontà di distaccarsi da operazioni come la Trilogia Sequel di Star Wars o il quinto Indiana Jones, imputati di aver rovinato i propri protagonisti presentandone versioni invecchiate poco soddisfacenti.
A sostituire Cesare come protagonista è lo scimpanzé Noah (Owen Teague), che un giorno vede la propria vita sconvolta dall’attacco di un clan di scimmie rivali che rapiscono i membri del suo villaggio. Il viaggio per salvare il proprio popolo porterà la giovane scimmia a incontri e rivelazioni destinati a cambiare per sempre la sua visione del mondo.
Alla regia, dopo Rupert Wyatt per il primo capitolo e Matt Reeves per i due successivi, subentra Wes Ball, autore della trilogia di Maze Runner. Lo stacco tra la mano di Reeves e quella di Ball è evidente, ma il nuovo regista riesce comunque a reggere la pesante eredità.
All’interno di una messinscena più classica, meno raffinata del predecessore, si possono comunque notare delle buone trovate di regia, come il ricorso a piani sequenza, evitando di porsi come semplice e anonimo shooter.
Particolarmente riuscito è l’aspetto visivo. Nonostante la fotografia, molto più luminosa rispetto ai capitoli precedenti, renda leggermente meno efficace la CGI, essa risulta comunque di altissimo livello, permettendo di mantenere la credibilità delle scimmie umanizzate, da sempre grande punto di forza di questa saga reboot.
La sceneggiatura di Il regno del pianeta delle scimmie tenta di portare avanti parallelamente al lato dello spettacolo quelle riflessioni politiche e sociali tanto care alla saga. Il personaggio di Mae (Freya Allan), umana che ha conservato misteriosamente le capacità cognitive, consente di proseguire il discorso del rapporto tra uomo e natura, mentre l’antagonista Proximus (Kevin Durand) riporta in scena l’idea di fanatismo e distorsione delle religioni affrontate nel film originale del ’68 e nel remake di Tim Burton datato 2001.
Non tutto riesce alla perfezione: in alcuni momenti il ritmo appare leggermente dilatato, mentre nel finale alcuni eventi vengono risolti troppo in fretta. Anche alcuni spunti di riflessione risultano meno approfonditi di quanto avrebbero potuto. Si avverte in questo senso uno squilibrio tra le riflessioni sociali e il lato più da blockbuster avventuroso, con una netta predominanza di quest’ultima componente.
Ma al netto dei difetti questo quarto capitolo si rivela un nuovo starting point riuscito, il cui finale riesce a creare la giusta curiosità per eventuali capitoli successivi.