Il Robot Selvaggio recensione film d’animazione di Chris Sanders con le voci originali di Lupita Nyong’o, Kit Connor, Pedro Pascal, Mark Hamill e Catherine O’Hara [Anteprima]
All’uscita del primo trailer de Il Robot Selvaggio, la nuova avventura d’animazione firmata da Chris Sanders (Dragon Trainer, Lilo & Stitch, I Croods) abbiamo provato un brivido. Un richiamo lontano, antico, sepolto in noi da anni.
Da quella manciata di secondi promozionali, si percepiva la voglia da parte di Dreamworks Animation di tornare a realizzare qualcosa di diverso e di sorprendente, una natura insita nel codice genetico della casa di produzione.Un canto primordiale, che si era assopito con il passare del tempo e delle informazioni che bussavano alla porta della razionalità. Perché pensare di poter tornare ai fasti di un è un’idea del tutto irrazionale.
Il Robot Selvaggio, infatti, si è dimostrato essere un altro passo in avanti per Dreamworks, sempre più lontano dalle sue fondamenta. Ma andare avanti non sempre significa procedere sulla via migliore (che, poi, migliore secondo chi? Noi? Voi? Loro?). Tuttavia, quel bagliore di speranza non si è dissipato completamente e, anzi, inizia a scalpitare per liberarsi dal giogo di una tendenza narrativa che sembra spingere ogni produzione verso la stessa direzione.
Il Robot Selvaggio ci mette a contatto con un mondo perduto, dove la natura è la padrona di tutto. A guidarci in questa terra immacolata è l’antagonista per antonomasia del naturale: un robot. Rozzum 7134, abbreviato in Roz, è un’unità stupefacente, del tutto inarrestabile quando si tratta di portare a termine il compito assegnatole, ovvero soddisfare la richiesta del cliente. Peccato che, in questo caso, il cliente non ci sia, dato che il robot si è attivato su un’isola priva di ogni traccia umana. Quello di Roz è un viaggio complesso e più statico del previsto, ma non vogliamo raccontarvi troppo, perché scoprire il film, soprattutto nella prima parte, rende l’esperienza ancora più interessante.
Sanders si conferma un maestro nel raccontare le condizioni di inadeguatezza, rendendo i primi dieci minuti del film un vero gioiello non solo dell’animazione, ma della narrazione cinematografica in generale.
Violento, spietato, terrificante; gli attimi iniziali di questa storia sono un tripudio di spettacolo tragicomico. Da un lato, una natura senza pietà; dall’altro, un programma artificiale incapace di comprendere quella meccanicità del mondo animale. Ed è qui che si trova il nodo dell’intera vicenda: istinto contro logica, due diversi “linguaggi di programmazione” innati, apparentemente agli antipodi, ma in realtà molto più vicini di quanto si possa pensare.
Il film trasmette questo dualismo dicotomico in modo efficace, soprattutto durante la potente sequenza iniziale. Tuttavia, il tono cambia quando gli animali iniziano a parlare, rendendo il tutto più didascalico e umano di quanto ci si aspetterebbe.
Queste creature selvagge, inizialmente presentate come guidate da una forza che va oltre la razionalità umana, improvvisamente dimostrano di comprendere concetti astratti come l’arte e iniziano anche a muoversi in maniera diversa.
È come se il fatto che il robot Roz riesca a capirli provocasse un immediato capovolgimento delle leggi fisiche e naturali su cui il film ci ha iniziato con così tanta enfasi e accuratezza. Si passa dalla fedeltà di Spirit – Cavallo selvaggio alla magica trasformazione di Koda – Fratello Orso, senza un motivo che ne giustifichi questa improvvisa variazione se non “ora Roz è in grado di comprenderli”.
Da qui in poi, tuttavia, il film riesce a trovare una sua dimensione, in grado di non far compiangere del tutto quelle elettrizzanti sequenze d’apertura. I temi della famiglia, cooperazione, compassione, abbandono, responsabilità e maternità entrano in gioco in modo naturale. Il Robot Selvaggio affronta queste importanti tematiche senza darle per scontate né sovraccaricare lo spettatore. C’è uno strano equilibrio che bilancia l’interno film, uno che non capita di vedere spesso all’interno di produzioni come questa, pensate per accontentare tutta la famiglia.
Un equilibrio che, purtroppo, va in frantumi sul finale. Gli ultimi quindici minuti, quasi a bilanciare l’ottima apertura, si rivelano assolutamente inutili caratterizzati da una spettacolarizzazione tipica dell’animazione moderna (come si vede anche in un recente film DreamWorks, Troppo Cattivi). Quella che poteva risultare come una storia soddisfacente, nonostante alti e bassi, si piega alla forza dello spettacolo pirotecnico e della morale “umana”, gettando all’aria il contesto nel quale nasce, che dall’uomo e dai suoi sistemi sociali si dovrebbe solo fuggire.
Un discorso simile vale per il comparto audiovisivo. Ormai, la tecnica mista resa celebre da Spider-Man: Un nuovo universo è diventata la terra lontana che tutti cercano di raggiungere. Tuttavia, DreamWorks sembra meno interessata a replicare quel successo e più intenzionata a trovare una propria voce nel mare di tentativi meno riusciti. Il Robot Selvaggio è infatti una festa per gli occhi. Non ci troviamo di fronte a un’opera cinematografica in cui ogni fotogramma sbalordisce, ma ci sono diversi momenti visivi capaci di lasciare a bocca aperta.
C’è un ritorno a quella pregnanza visiva cara alle origini Dreamworks (anche queste, in parte, con tecnica mista, alla ricerca di un punto di congiunzione tra la nascente computer grafica e la tradizione del disegno manuale) così come in altri capisaldi dell’animazione, da Il Gigante di Ferro a Balto. La costruzione visiva delle sequenze principali è così ben curata che, anche di fronte a evidenti incongruenze, si è disposti a passarci sopra come se nulla fosse.
Ad accompagnare questi momenti c’è, poi, una colonna sonora d’alto livello, perché, se avete un bagaglio culturale che include i principali successi dell’animazione dopo il rinascimento Disney, non potrete fare a meno di percepirne l’epicità. Tuttavia, la narrazione risulta già sentita e, di conseguenza, abbastanza prevedibile. In alcuni momenti, è anche un po’ troppo enfatica rispetto a quanto viene mostrato.
Dopotutto, il film racconta una storia molto intima, ambientata in un contesto solenne, come può esserlo solo il regno animale, ma con una portata terrena. È una storia fatta di emozioni sconfinate, ma silenti, quasi un sussurro che ci si vuole tenere per sé, gelosamente custodito nei recessi di un cuore di latta.