Il Segreto di Liberato recensione docufilm di Francesco Lettieri con le voci di Liberato, Simona Tabasco e Nando Paone
Il segreto di Liberato è un documentario incentrato sulla figura del cantante neomelodico napoletano col nome d’arte, appunto, di Liberato. Il segreto cui il titolo fa riferimento è l’identità del cantante stesso, tenuta meticolosamente segreta.
Il documentario non è intenzionato a rivelare quale essa sia, puntando a parlare con coloro che hanno lavorato assieme all’artista. Quando è Liberato stesso ad apparire in scena egli è tendenzialmente nascosto o dall’inquadratura (che lo mostra di schiena o col volto fuori campo) o dal vestiario (ai concerti è sempre incappucciato e col volto coperto da bandane) o, ancora, dall’animazione.
Infatti il regista Francesco Lettieri (autore anche di tutti i videoclip del cantante) decide di adottare un approccio misto, fondendo interviste e immagini dei concerti (tipiche di un documentario) con una narrazione di alcuni episodi della gioventù di Liberato realizzata tramite i lavori del disegnatore LRNZ.
Il ricorso all’animazione permette di trattare fatti reali ammantandoli di un’aurea di finzione, mantenendo così la natura anonima di Liberato, il cui volto è perennemente occultato dalla folta capigliatura. Lo stile di disegno ricalca infatti l’animazione giapponese, in cui abbondano acconciature eccentriche che oscurano il volto.
Il risultato è un prodotto che cerca di sfuggire alle logiche del documentario classico, puntando sia su una messinscena elaborata (grazie appunto al mix di tecniche) sia sull’esaltare principalmente il lavoro dell’artista, a scapito di indagini eccessive sul privato (che compare, come detto, in maniera dichiaratamente romanzata).
Se gli intenti sono nobili, la realizzazione finale non ne è del tutto all’altezza. L’alternanza di stili contribuisce sì a rendere il film dinamico, ma rischia anche di far apparire le varie componenti poco coese tra loro.
Inoltre, è vero che da un lato il film vuole evitare di essere il solito documentario sull’artista famoso di turno, ma d’altra parte in alcuni punti scade proprio in quelle dinamiche, col solito repertorio di lodi al lavoro dell’artista. Non che riconoscere i meriti di qualcuno sia un male, soprattutto in un lavoro incentrato sulla sua figura, ma il didascalismo con cui se ne parla contrasta con altri momenti molto più raffinati del film stesso (in particolare quelli animati, che ne costituiscono la parte più riuscita).
Anche il discorso, presente fin dalla scelta del titolo, sulla (non) importanza della reale identità di Liberato è effettivamente interessante, soprattutto per il dichiarato contrasto con la cultura dell’apparire predominante nei social moderni.
Tuttavia finisce per perdersi in classiche riflessioni composte da slogan triti e ritriti (per quanto condivisibili) sulla maggior importanza dell’arte rispetto al mero gossip.