Il segreto di una famiglia recensione del film diretto da Pablo Trapero con Martina Gusmán, Bérénice Bejo, Édgar Ramírez, Joaquín Furriel e Graciela Borges
Inconfessabili scheletri fuoriescono dall’armadio tormentando una famiglia a causa di un segreto, indelebile e nascosto agli occhi delle stesse figlie; una madre convive con un forte dolore del passato che subisce ogni giorno e non riesce a sopportare.
Augusto (Isidoro Tolkachir) viene colpito da un ictus, così Mia (Martina Gusmàn) ed Eugenia (Bérénice Bejo) si ritrovano insieme dopo tanto tempo nella casa di famiglia, La Quietud, con la madre Esmeralda (Graciela Borges), che ha un bel legame con la primogenita e allo stesso tempo molto combattivo con la seconda figlia.
L’arrivo di Eugenia fa comprendere quanto le sorelle siano morbosamente legate. Se non fossero consanguinee, la scena di stimolazione sessuale femminile, come quella maschile considerate tabù, sarebbe da valutarsi in modo apprezzabile. Le due hanno trascorso in passato tante estati focose dietro ai ragazzi, com’è normale per le ragazze adolescenti; il legame di sangue delle protagoniste porta il film ad allontanarsi dalla trama principale per dedicarsi a qualcosa di totalmente diverso, non affrontato con la giusta serietà.
Scopriamo una relazione incestuosa e clandestina che lega indissolubilmente Mia, Eugenia e Vincent (Edgar Ramirez), marito di quest’ultima. Nel frattempo le ferite della dittatura perseguitano Esmeralda, che riceve un comunicato urgente dal tribunale per colpa dell’oscuro e doloroso passato condiviso con il marito. Mia ed Eugenia non riescono a vivere l’una senza l’altra, la vicinanza e la passione con Vincent le avvicina perché egli rappresenta il loro porto d’incontro sicuro.
Il finale de Il segreto di una famiglia rende le conclusioni di Trapero ancor più malsane e scioccanti.
Vedere questo film durante il Pride month è una mossa di pessimo gusto verso il movimento della comunità LGBTQIA che si batte per normalizzare l’amore e le famiglie arcobaleno allontanando le accuse di malattia mentale, pedofilia ed incesto.
La trama della pellicola vorrebbe allacciarsi al dolore di una madre che ha sofferto le gesta del marito travalicando verso l’amore incestuoso, bisognoso e dipendente delle figlie, delle quali la stessa primogenita è frutto di una violenza sessuale.
Le considerazioni secondo cui chi ha subito traumi del genere reagisce con bisogni morbosi ed estremi proiettandosi verso una ricerca distorta della felicità non sono costruite al meglio né gestite con le dovute precauzioni; i disturbi mentali non dovrebbero essere oggetto di leggerezza ma affrontati in modo degno e senza superficialità.
La storia narrata poteva risultare interessante per sensibilizzare l’attenzione verso le vittime di abusi e le sofferenze causate dai conflitti militari, tuttavia essa non viene normalizzata dando spazio a molto, troppo altro di diverso e malsano.
Sara