Il signore delle formiche recensione film di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco, Jacopo Relucenti e Leonardo Maltese
Se avete intenzione di narrare qualche avvenimento significativo per la recente storia italiana, probabilmente fareste bene a rivolgervi a Gianni Amelio, che, ancora una volta, è al Festival del Cinema di Venezia in corsa per il Leone d’Oro. Il signore delle formiche tenta di descrivere le complesse dinamiche dietro l’incarcerazione di Aldo Braibanti e lo fa, come sempre per Amelio, con grande eleganza e rispetto.
Poeta e drammaturgo, Braibanti fu accusato e condannato a nove anni con accusa di plagio ai danni di un suo allievo, con il quale ebbe un rapporto intimo e profondo, poco conforme alle distorte sensibilità del Dopoguerra. Interpretati rispettivamente da Luigi Lo Cascio e dal giovane Leonardo Maltese, i due innamorati furono di primaria importanza per la definizione di una rinnovata percettibilità degli omosessuali, che, grazie al sacrificio di questi eroi involontari, iniziò proprio in quel decennio un faticoso mutamento ancora in atto.
Entrando dalla panchina a metà film, ecco anche Elio Germano, nelle vesti di un eroico giornalista, intento a difendere a colpi di macchina da scrivere il destino dell’intellettuale sotto processo: “Braibanti condannato per aver amato un ragazzo…”. Lo Cascio e Germano trovano un’attraente armonia di fronte alla macchina da presa, ma la recitazione di uno dei due è semplicemente sublime. Lo Cascio è nuovamente promosso, ma Germano firma l’ennesima eccellenza interpretativa, portando in scena la credibilità e il carisma riservati ai grandi attori. Se Lo Cascio interpreta, Germano diviene.
Tuttavia, l’autentico miracolo è compiuto dallo stesso regista, che confeziona un film impegnato e sofisticato, dal sapore squisitamente commerciale: la seducente narrazione del processo non rinuncia al tipico respiro intellettuale del cinema nostrano, ma eredita con acume dal cinema d’inchiesta americano. Da quest’ultimo, il regista calabrese, carpisce i ritmi, il pathos e l’efficacia drammaturgica, sottraendone gli elementi più superficialmente spettacolari. Amelio intrattiene facendo riflettere, analizza senza annoiare ed emoziona senza mentire. Forse, stavolta, abbiamo davvero ammirato cosa accade quando un grande autore seleziona con raffinatezza gli ideali formali e la sostanza delle due cinematografie più importanti della storia.