Il talento del calabrone recensione film di Giacomo Cimini con Sergio Castellitto, Lorenzo Richelmy, Anna Foglietta e Marina Occhionero su Prime Video
La storia raccontata da Giacomo Cimini, regista al suo secondo lungometraggio, è di quelle che si possono scrivere sul retro di un francobollo: un bombarolo tiene in scacco una stazione radio, al telefono, in diretta. Eppure, è quello che in gergo viene chiamato un high concept, per dirla meglio un’idea forte. Il guaio, con questo tipo di trama, è che un high concept si può tranquillamente risolvere con due o tre scene. Eppure tutto questo ci porta al motivo per cui Il talento del calabrone è uno di quelle opere fulminanti che all’uscita vedono pioversi addosso polemiche e strali ma poi lievitano col tempo.
Perché Cimini sa benissimo che nessuno spettatore possa avere dubbi su come si chiuderà il film, e allora gioca col sottotesto, con il non detto: che non vuole affatto, come alcuni poveri di spirito credono, lasciare in sospeso spiegazioni irrisolte, bensì divertirsi a costruire un film come una vera opera architettonica che fonda le sua basi su ciò che non si vede, mentre quello che affascina all’inizio è altro.
Ne Il talento del calabrone di eccezionalmente lampante c’è la bravura di Sergio Castellitto: non ci sono o non c’erano, almeno per adesso, in Italia, punti di riferimento per rendere credibile un personaggio come il suo, assurdo e poco credibile sulla carta, ma che invece l’attore riesce a restituire vero e a tratti anche commovente, pestando il pedale dell’overacting come unico modo per non cadere nella macchietta.
E c’è anche un apparato visivo, una messa in scena che – pur restando nelle claustrofobiche mura di una stanza in un grattacielo – alla fine riesce a far sentire il respiro della grande città, anonima e spersonalizzante. E arriviamo al punto.
La Milano de Il talento del calabrone non è Milano, ma è Roma. Così come tutto quello che si vede nel film, è falso. Ma anche tutto quello che viene raccontato.
Senza voler fare troppi spoiler, la bellezza del film di Cimini è che sembra proprio un incrocio tra In linea con l’assassino e una qualunque delle lezioni di cinema del primo Argento: un meccanismo narrativo implacabile e una riflessione mai banale sulla potenza del falso. Come ne L’uccello dalle piume di cristallo, o più in alto in Profondo rosso, in questo film disponibile su Amazon Prime Video i sensi dello spettatore vengono costantemente ingannati, così come vengono ingannati i protagonisti della storia. E la confusione che si crea tra rappresentazione e rappresentato non fa che aumentare il grado di teoreticità delle scelte del regista. Che non vuole (solo) raccontare una storia thriller, ma alla fine racconta una storia su quanto ogni giorno si viene ingannati, su come l’incredibile quantità di stimoli e suggestioni ci ha resi inadatti a poter distinguere il vero dal vero rappresentato, la fascinazione della messa in scena dal dolore del reale.
In questo senso, Il talento del calabrone è allora un film perfettamente in grado di affrontare un mercato internazionale per il respiro largo che si sente nelle sue scene, per quell’ariosità di rappresentazione che dà un’idea di collocazione geografica ben precisa pur rimanendo sospeso, per la sottile lama con cui taglia la trama coniugata ad una sceneggiatura pensante ed ingannevole come il triste racconto del protagonista.