Ip Man 4 recensione film di Wilson Yip con Donnie Yen, Scott Adkins, Danny Kwok-Kwan Chan, Vanness Wu, Yue Wu, Vanda Margraf e Jim Liu
Con Ip Man 4 si conclude la fortunata saga, franchise da 440 milioni di dollari di incassi in tutto il mondo a fronte di un investimento produttivo dieci volte inferiore, che ha visto ritornare in auge le arti marziali al cinema dopo essere state relegate sin troppo a lungo ai ranghi dei B-movie straight-to-Dvd.
Merito della figura quasi mitologica al centro della narrazione, Yip Man, fondatore della scuola di Wing Chun e maestro della leggenda Bruce Lee, prima che quest’ultimo continuasse la sua evoluzione tra le discipline di combattimento fino a dare un nome al suo stesso stile marziale, il Jeet Kune Do.
Merito anche di Donnie Yen che, a lungo oscurato da Jackie Chan e Jet Li, tra diatribe e leggende metropolitane su chi sia tra i tre il migliore e più autentico artista marziale, proprio grazie all’impersonificazione di Ip Man (e alla più giovane età) è riuscito finalmente a conquistare la vetta dello starbiz asiatico e a ritornare ad Hollywood in pellicole di forte richiamo come Rogue One: A Star Wars Story, il seguito di xXx e Mulan.
Le cinture nera sesto dan in taekwondo, nera in judo e viola in Jiu-jitsu brasiliano di Donnie Yen rappresentano un’importante premessa alla capacità di portare in scena il maestro di Bruce Lee, colui che ha letteralmente scritto la storia del Wing Chun aprendolo all’insegnamento e tramandandolo alle future generazioni di combattenti di arti marziali.
Ambientazioni coloratissime e sgargianti ci accompagnano nel viaggio immaginario – gran parte della saga di Ip Man è finzione non biografica, tanto da essere accusata dai suoi detrattori di essere mero strumento di propaganda – che porta Yip Man negli USA per accogliere l’invito del suo ex allievo Bruce Lee e cercare una scuola per il figlio ribelle. Negli USA Yip Man può toccare con mano la rivoluzione culturale avviata da Bruce Lee, che nelle sue scuole insegna le arti marziali al di fuori della popolazione cinese divulgandole inoltre attraverso libri, media e connessioni nel mondo dello spettacolo e nelle lobby di potere.
Nostalgica e ad effetto è la scelta del regista dell’intera saga Wilson Yip di rappresentare al cinema l’unico combattimento pubblico negli Stati Uniti di Bruce Lee – qui interpretato da Danny Kwok-Kwan Chan – di cui si abbia una rara testimonianza filmata, poco importa se successivamente sequenze artificiose ed inverosimili e pose ed espressioni caricaturali affievoliscano l’efficacia di duelli corpo a corpo ben coreografati.
Dopo C’era una volta… a Hollywood e l’impietoso ritratto macchiettistico con il quale Tarantino si è divertito a dipingere Bruce Lee – lo stesso Donnie Yen ha dichiarato che tra filmmaker si dovrebbe avere più rispetto l’uno dell’altro e riconoscenza per la figura di Lee e per il grande contributo che ha dato all’industria cinematografica – torniamo ad assistere ad una verosimile rappresentazione del leggendario Sifu nell’epilogo delle gesta di Ip Man che, da sopravvissuto che è riuscito ad adattarsi, trovare il suo posto nel mondo e costruire la sua vita, adesso nel quarto e conclusivo capitolo affronta sulla sua pelle il peso della discriminazione razziale, condividendo idealmente la causa dell’allievo Bruce Lee.
La comunità cinese viene discriminata ed ostracizzata e anche le famiglie più abbienti riescono a malapena a conquistarsi un posto al sole cercando di investire sul benessere dei propri figli negli Stati Uniti: in questo scenario di odio ed intolleranza Ip Man, Bruce Lee e l’intera comunità cinese rappresentata dall’Associazione Benevolente Cinese (ABC) superano le diffidenze ed incomprensioni iniziali e si alleano idealmente contro l’uomo occidentale razzista e violento, sintetizzato nella malvagia figura di Scott Adkins – erede spirituale di Jean-Claude Van Damme affermatosi grazie al suo Boyka e alla saga Undisputed – e del suo Karate Combat, parente stretto e probabilmente precursore del Full Contact, la forma più impegnativa ed aggressiva della kickboxing.
Le splendide e raffinate esecuzioni ravvicinate di Donnie Yen e Yue Wu – vero artista marziale pluripremiato a livello asiatico nelle competizioni di Wushu e Bajiquan – si alternano a duelli dalle espressioni e situazioni caricaturali e quasi grottesche, come se non si volesse mantenere alto il tono della pellicola per trascendere a tutti costi nel B-Movie sovraccaricandolo degli stereotipi tipici del genere, scimmiottando talvolta quasi se stesso con ilari primi piani stretti sui ghigni beffardi dei boss di fine quadro.
Sulla soglia dei sessanta, Donnie Yen ha dichiarato che Ip Man 4 è stato il suo ultimo film di Kung Fu, chiusura di una saga action entrata nella storia e che, al di là del personaggio centrale a cui è dedicata, Yip Man, appare un appassionato omaggio alla madre stessa di Yen, Bow-sim Mark, artista marziale che con la sua famiglia lasciò la Cina nel 1974, quando Donnie aveva soltanto undici anni, per diventare pioniera dell’insegnamento delle arti marziali cinesi negli Stati Uniti ed assicurare un futuro migliore al suo unico figlio.