It – Capitolo 2 recensione del film di Andy Muschietti con Jessica Chastain, James McAvoy, Bill Skarsgård, Bill Hader, Isaiah Mustafa, Jay Ryan e James Ransone
Fin dai primi anni della settima arte i registi hanno sentito il bisogno di portare in scena gli orrori dell’uomo e della società, un po’ per esorcizzarli e un po’ per confessarsi. Sono molti i mostri che si sono susseguiti sul grande e piccolo schermo ma quello che più ha traumatizzato i bambini e gli adolescenti degli anni 90 e 2000, attraverso la celebre miniserie TV, è It. Arrivato per la prima volta al cinema nel 2017 ed acclamato da critica e pubblico, il clown torna sugli schermi in quest’attesissimo sequel.
Sono passati 27 anni dagli eventi di It – Capitolo uno e il club dei perdenti sembra essersi lasciato allo spalle sia la città di Derry sia il clown danzante; l’avvertimento del suo ritorno non era solo una leggenda perché Pennywise torna nella cittadina americana pronto a cibarsi di quei ragazzini sfuggiti anni prima. Se nel primo film il rapporto conflittuale era tra i giovani e i loro genitori, qui il conflitto è dentro ognuno di loro.
Il centro nevralgico dell’opera di Andy Muschietti, regista anche del primo capitolo, è proprio il – non – cambiamento: gli amabili protagonisti del primo film sono diventati ormai adulti e apparentemente le cose sembrano cambiate, ma non è del tutto così. Le ferite e le cicatrici del passato tornano a galla e questa volta bisogna affrontarle una volta per tutte; per farlo dovranno scendere nelle profondità terrene della città, efficace metafora del viaggio all’interno delle loro stesse anime. La pellicola si concentra molto sulle paure e le angosce dei personaggi che di fatto sono quelle che essi provavano da ragazzini, Eddie (James Ransone) è sempre ipocondriaco, Bill (James McAvoy) soffre ancora di balbuzie e Ben (Jay Ryan) non ha mai dimenticato la bella Beverly (Jessica Chastain). Nell’epoca dei supereroi, It – Capitolo due narra le debolezze dell’essere umano. E ad incarnare tutta questa oscurità è la creatura che dà il titolo all’opera.
La prima parte della pellicola funziona bene riuscendo nell’intento di immergere da subito lo spettatore nella tetra atmosfera della storia, rivediamo uno ad uno tutto il gruppo dei perdenti e la sensazione è quella di rivedere una vecchia e legatissima combriccola di amici.
Da elogiare la scelta del cast: come se fosse un film di Richard Linklater gli attori adulti sembrano davvero i ragazzini del primo film invecchiati. Soprattutto Jessica Chastain, alla seconda collaborazione con Muschietti dopo il pregevole La madre, conferma il suo talento recitativo interpretando una perfetta Beverly adulta ed è di fatto la protagonista umana del film. Non a caso è il personaggio con il background un po’ più approfondito ed è proprio lei a vedere qualcosa che gli altri non riescono a scorgere.
A tenerle testa c’è Bill Skarsgård che attraverso un ottimo lavoro con la voce e ad un glaciale uso degli occhi (usati anche nel poster promozionale del film) dà vita ad un Pennywise già diventato cult, un ruolo che difficilmente si scrollerà di dosso. A confermarsi è inoltre la buona messa in scena di Muschietti che riesce ad essere funzionale sia nelle scene più emozionali, come quella della cena, sia in quelle di tensione, come quella nel parco divertimenti. Il regista colpisce lo spettatore fin dalle prime immagini attraverso un incipit molto crudo che mostra il marcio dell’essere umano.
Il vero punto dolente del film è la sceneggiatura scritta da Gary Dauberman. Quest’ultimo è lo sceneggiatore, tra gli altri, della saga di Annabelle e purtroppo si nota. Le potenzialità di approfondimento psicologico vengono completamente sprecate per lasciar spazio ad una narrazione che nella seconda parte è disomogenea e troppo frammentata; di fatto non vengono approfondite né le paure del singolo né quelle del gruppo. Ci sono continui scambi tra passato e presente ma queste sequenze teoricamente introspettive sono condite da un jumpscare dopo l’altro che, oltre ad allentare la tensione, arrivano anche ad essere decisamente prevedibili. I jumpscare devono essere dosati sapientemente poiché un utilizzo così eccessivo crea nello spettatore una sensazione più di divertimento che di paura. Ed è un problema se il film viene presentato come un horror.
It – Capitolo 2 non nasconde la sua intenzione largamente commerciale, d’altronde il primo capitolo è l’horror che ha incassato di più nella storia, e si rivolge sia al pubblico giovane sia agli amanti di Stephen King riuscendo ad intrattenere nonostante l’impegnativa durata di quasi tre ore. Si può davvero parlare di horror? Probabilmente è più giusto definirlo film di avventura: peccato perché sulla carta le premesse e le possibilità erano buone, precluse tuttavia da un’opera che non riesce a superare la sufficienza.
Andrea P.