It’s a Sin recensione serie TV di Russell T. Davies con Olly Alexander, Omari Douglas, Shaun Dooley, Callum Scott Howells, Lydia West, Nathaniel Curtis, Neil Patrick Harris, Stephen Fry e Keeley Hawes
It’s a Sin, miniserie in cinque episodi ideata da Russell T. Davies, racconta delle prime avvisaglie della presenza dell’AIDS in Inghilterra, dopo i noti casi di Atlanta del 5 giugno 1981. Per farlo, ci mostra come è stato vissuto dai protagonisti della serie, un gruppo di giovani omosessuali degli anni 80’: Colin (Callum Scott Howells), Ritchie (Olly Alexander), Roscoe (Omari Douglas), Ash (Nathaniel Curtis) e infine Jill (Lydia West), l’unica ragazza etero del gruppo che funge, oltre che da collante, da “mamma” e “infermiera” dei suoi amici del cuore, tutti coinquilini nell’appartamento chiamato Pink Palace.
L’AIDS è una malattia del sistema immunitario umano causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e la sua fase di latenza si può dividere in 4 stadi:
Stadio 1 – Incubazione, assenza totale di sintomi
C’è un gruppo di ragazzi omosessuali che per lavoro, università o semplicemente per fuggire alla vita familiare si ritrova nella Londra anni 80’ pullulante di eccentricità e irriverenza. Sono ragazzi belli, giovani, pieni di aspettative e di amore da dare a se stessi e a chiunque incontrino nei locali il sabato sera. Pieni di quell’amore che spesso nell’ambiente familiare non veniva loro dato. Sono felici di ritrovarsi in una città cosmopolita che li accoglie e li accetta benevola, senza pregiudizi: va ancora tutto bene.
Stadio 2 – Infezione acuta, si manifestano sintomi tipicamente influenzali
Sui giornali e sulle bocche di tutti c’è una nuova e strana malattia. Ancora non è ben chiaro chi colpisca, in che modo avvenga il contagio e quali siano le conseguenze. Alcuni la chiamano la malattia degli omosessuali. Sarà possibile una cosa simile? I nostri protagonisti sono giovani, innamorati e volenti o nolenti, un po’ preoccupati.
Stadio 3 – Periodo di latenza, è di nuovo priva di sintomi, ma l’infezione è in circolo
È solo quando un qualcosa ti tocca da vicino che ne riconosci la sua veridicità. L’HIV è reale e i nostri protagonisti, uno dopo l’altro, iniziano a stare male.
Stadio 4 – AIDS
I ragazzi sono tornati a casa, ormai sono in molti a farlo.
It’s a Sin: gioiellino della serialità
La serie è il racconto di una gioventù spezzata, lasciata preda della sofferenza e della confusione, proprio come la popolazione mondiale da marzo 2020 ad oggi. Russell T. Davies porta sullo schermo un climax narrativo dolorosissimo che in cinque puntate non illumina lo spettatore su quello che è il virus ma su ciò che hanno vissuto coloro che si sono infettati quando ancora dell’HIV non si sapeva nulla, cogliendoli impreparati e alla sprovvista. È indubbio che ciò che ci circonda influenza le storie che vediamo, leggiamo o ascoltiamo ed è per questo che serie come It’s a Sin oggi fanno ancora più male, mentre altre, come Anna, sono così dolorose e vicine agli avvenimenti che abbiamo vissuto, che vorremmo quasi ignorarle.
Russell T. Davies, dopo aver dato vita a Queer as Folk e al rinnovamento di Doctor Who, torna a concentrarsi sulla narrativa omosessuale con questo gioiellino della serialità. Cinque puntate essenziali e mai ripetitive che fanno emergere egregiamente i personaggi, merito anche della sua colonna sonora dannatamente pop e interpretazioni attoriali egregie. Tutti elementi che rendono It’s a Sin una delle serie più belle del 2021 e tra le più riuscite di Russell T. Davies, uno degli showrunner (insieme a Ryan Murphy) che indaga il mondo omosessuale in modo pop e moderno.
Tenete i Kleenex a portata di mano, It’s a Sin è su StarzPlay.