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Ito recensione film di Yokohama Satoko con Komai Ren [FEFF 23]

Ito recensione film di Yokohama Satoko con Komai Ren, Toyokawa Etsushi, Nakajima Ayumu e Kurokawa Mei presentato al Far East Film Festival 23

Presentato in anteprima europea al Far East Film Festival, Ito è l’adattamento di un romanzo del 2011 di Koshigaya Osamu. Ambientato a Hirosaki, nella prefettura di Aomori, il film racconta il percorso di maturazione dell’omonima protagonista, una ragazza molto timida e con difficoltà a comunicare con gli altri che, in un impeto di ribellione, comincia a lavorare in un maid café, un locale in cui si consumano cibi e bevande presentati da cameriere in abiti particolari (che ricordano i manga) che hanno un rapporto di totale devozione nei confronti del cliente.

Un contesto molto ai limiti, in cui l’erotismo viene soltanto suggerito. Ito è alla ricerca, infatti, di un posto nel mondo e di una fuga da un nido familiare composto da un padre professore, un pochino bacchettone, e da una nonna che vuole portare avanti la tradizione e insegnare alla nipote la nobile arte dello shamisen, uno strumento a corda che è parte del folklore di quei luoghi. Sui tre pesa come un macigno l’assenza della madre-moglie-figlia, morta quando Ito aveva solo cinque anni.

Komai Ren e Toyokawa Etsushi
Komai Ren e Toyokawa Etsushi
Ito recensione film di Yokohama Satoko con Komai Ren
Ito di Yokohama Satoko con Komai Ren e Toyokawa Etsushi

Racconto di formazione in salsa orientale, il film è anche un elogio degli sconfitti, di chi ha dovuto adattarsi alla vita e cambiare i suoi piani, non rinunciando mai a sognare. E così nel maid café la protagonista trova ad accoglierla una “nuova” famiglia: Sachiko Kasai (Kurokawa Mei), una madre single che ha potuto crescere la figlia proprio grazie a quel lavoro; Tomomi Fukushi (Yokota Mayuu), disegnatrice di manga che ha l’ambizione di trovare un giorno la strada del successo a Tokyo; Yuichiro Kudo (Nakajima Ayumu), giovane gentile e dal carattere mansueto che non si è mai messo realmente in gioco.

In questo contesto, Ito riesce gradualmente ad esprimersi, a entrare in contatto con gli altri, a mostrarsi per quello che è. Contemporaneamente, recupera il suo interesse per lo shamisen e torna a esercitarsi, abbandonando quella ritrosia che forse le derivava dal paragone impari con una madre mai conosciuta.

Komai Ren
Komai Ren
Ito di Yokohama Satoko con Komai Ren
Ito di Yokohama Satoko con Komai Ren

La regista Yokohama Satoko non perde mai di vista l’interiorità della protagonista del suo film: spesso sono i suoi silenzi a parlare, la sua goffaggine, la difficoltà che deriva dal sentirsi continuamente giudicata. In Ito contano più le azioni delle parole, gli stati d’animo, le psicologie dei personaggi. Qualche sfumatura viene meno, soprattutto in alcune relazioni, ma nel complesso funziona questo percorso di crescita per uscire da un guscio che ci si è costruiti intorno, un viaggio che è ben raffigurato dalla scalata della montagna. Probabilmente chi vede nel cinema orientale un’occasione per fruire di un’estetica “altra” potrà rimanere un po’ deluso da questo film, che rifugge la violenza, il sadismo e la facile spettacolarità.

Ito segue i binari dell’intimismo, della dolcezza, concedendosi più delle sottrazioni che degli eccessi. È come se, anche attraverso la riscoperta dello shamisen, richiamasse una tradizione che sta progressivamente scomparendo, superata da una società che va sempre più veloce e non aspetta nessuno, tanto meno gli sconfitti. Ogni tanto fa bene ricordare, invece, che le fragilità sono parte dell’essere umano e non sempre la via giusta è quella di adeguarsi al mondo che ci circonda. Su questo il film, senza falsi moralismi e lezioni didascaliche, riesce a dirci molto.

Sintesi

Racconto di formazione in salsa orientale, Ito è anche un elogio degli sconfitti, di chi ha dovuto adattarsi alla vita e cambiare i suoi piani, non rinunciando mai a sognare. La regista Yokohama Satoko non perde mai di vista l’interiorità della protagonista seguendo i binari dell’intimismo e della dolcezza, concedendosi più delle sottrazioni che degli eccessi, ricordando che le fragilità sono parte dell’essere umano e non sempre la via giusta è quella di adeguarsi al mondo che ci circonda.

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