Jesus Rolls: Quintana è tornato! recensione del film diretto e interpretato da John Turturro, basato su uno dei personaggi più iconici de Il grande Lebowski
Dopo poco più di vent’anni dall’uscita nelle sale de Il grande Lebowski, cult del cinema postmoderno diretto dai visionari fratelli Coen e con protagonisti Jeff Bridges, John Goodman e Steve Buscemi, John Turturro riporta sullo schermo il leggendario Jesus Quintana, fenomenale giocatore di bowling che nel film del ’98 incrocia la confusa via dei tre insoliti amici partoriti dalla mente dei registi di Ave, Cesare!, Fargo e Non è un paese per vecchi. Però fate attenzione! Jesus Rolls non ha nulla da spartire con il capolavoro di Joel e Ethan Coen. È uno spin-off (se così vogliamo chiamarlo) che mostra più da vicino un personaggio ideato da John Turturro una decina di anni prima della realizzazione dello stesso Il grande Lebowski, in un contesto non cinematografico, bensì teatrale. Quindi niente Drugo, niente narratori onniscienti, niente Autobahn. Insomma, niente Coen. Noi lo abbiamo visto in anteprima, in occasione della preapertura della Festa del Cinema di Roma.
Jesus Rolls (remake di un film francese del 1974, I santissimi, diretto da Bertrand Blier) approfondisce la storia, solo accennata ne Il grande Lebowski, di Jesus Quintana, interpretato nuovamente da John Turturro, che in questa occasione si trova anche dietro la macchina da presa. Il giocatore di bowling, appena uscito di galera, si ricongiunge con il suo amico Petey (Bobby Cannavale), con il quale vive alla giornata, perennemente in viaggio, complice il loro continuo coinvolgimento in qualche crimine che impedisce loro di stabilirsi in modo permanente. Questa, in breve, la trama del film. Per tutta la durata della pellicola ci troviamo a seguire le rocambolesche avventure dei due amici, i quali lungo il cammino incontrano personaggi che li aiutano in una crescita personale completamente involontaria, un po’ come ci insegna quel cinema moderno di cui il film di Blier fa parte.
Sono i personaggi-guida che ci conducono lungo la strada tortuosa di un mondo indecifrabile.
Turturro è tanto bravo davanti quanto dietro la macchina da presa. Riesce a mantenere un suo stile distintivo, anche se il suo voler ricalcare i passi dei grandi autori della sua giovinezza lo porta un po’ fuori strada. C’è molto del cinema francese degli anni Settanta. A tratti si percepisce addirittura un sentore di Nouvelle Vague. Ma, nonostante la bravura di Turturro, la pellicola pecca un po’ di ritmo. Le vicende che vedono coinvolti Jesus, Petey e la loro amica/amante Marie (Audery Tautou) sono abbastanza brevi, quasi delle istantanee di vita. Tuttavia, la narrazione non riesce a stare al passo con la messa in scena e il risultato è un forte senso di lentezza, anche perché, come si è detto, quelli raccontati sono tutti momenti poco significanti (o molto, a seconda del punto di vista) della loro vita. Non sono quei macro-eventi delle grandi narrazioni hollywoodiane. I desideri di questi personaggi sono inesistenti, difficili da identificare. Non sono mossi dall’azione, quanto, piuttosto, dall’inerzia. Come è giusto che sia, d’altronde, per il tipo di cinema dal quale prende spunto Turturro per Jesus Rolls.
Se dal punto di vista del ritmo non convince, è cosa diversa per le dinamiche sociali che tratta con comica reverenza, come la sessualità, l’amicizia, il limite tra lecito e illecito. Il primo tema in particolare è quello che risalta maggiormente. Per tutto il film ci vengono mostrati personaggi dalla sessualità ambigua. In primis, la relazione di amicizia tra Jesus e Petey, che sembra quasi un rapporto di coppia o, perlomeno, di totale condivisione.
I due, infatti, spartiscono il letto, il bagno, perfino la stessa Marie. A volte sembrano quasi la medesima entità. Questo lo si nota nelle diverse occasioni durante le quali indossano indumenti molto simili, come se fossero due parti di una personalità scissa, ma inevitabilmente unita nella separazione fisica. Sono temi, questi elencati, che fanno riflettere, portando lo spettatore a identificarsi con le vicende, sempre implicate in un vivido rapporto tra commedia e consapevolezza.