Intervista a John Landis e Deborah Nadoolman: da The Blues Brothers a Un lupo mannaro americano a Londra, la creazione di Jake ed Elwood, I tre amigos! e il videoclip dei record Thriller di Michael Jackson
Abbiamo avuto il grande piacere di incontrare ed intervistare John Landis e Deborah Nadoolman a Bologna, attesissimi ospiti de Il Cinema Ritrovato – il festival promosso dalla Cineteca di Bologna – e dell’International Filmmaking Academy.
Ecco la nostra intervista, che vi consigliamo caldamente di non perdere!
Intervista a John Landis e Deborah Nadoolman
Come mai Hollywood non produce più film geniali come The Blues Brothers?
John Landis: Gli studios, come molti altri settori industriali, sono stati travolti dal Covid e dallo streaming e sono letteralmente nel caos. Fin dall’inizio, fin dai fratelli Lumière, si è sempre parlato di “movie industry” o “movie business”. C’è sempre una trappola con i mecenati dell’arte, che siano i Medici o la Chiesa, vogliono sempre che con i loro soldi venga realizzato qualcosa migliore della realtà che ritraggono. Gli studios pagano per ottenere un profitto, chi realizza un film invece lo fa per lanciare un messaggio quindi è una situazione abbastanza schizofrenica. Probabilmente, se tutto va per il verso giusto, torneremo piano piano a un contesto di visione cinematografica in sala perché un film va visto non solo con il giusto schermo e un impianto sono adeguato, ma soprattutto con il pubblico, che è l’elemento più importante per un film. Se guardiamo una commedia, diventerà più spassosa quante più persone sono lì a ridere con noi perché la risata è contagiosa. Lo stesso discorso vale per i film horror, ma in realtà per qualsiasi tipologia di film. Le emozioni si intensificano perché si tratta di un’esperienza condivisa, come quando uno sciamano che racconta una storia a delle persone raccolte intorno a un fuoco e anche al cinema abbiamo una luce che tutti guardano. La domanda è quindi ancora senza risposta, verranno realizzati sempre bei film in tutto il mondo, ma quanti saranno e quanti soldi avranno a disposizione è difficile da prevedere.
Deborah, tu hai studiato molto il costume hollywoodiano, ma quello italiano ti ha influenzato in qualche modo?
Deborah Nadoolman: Onestamente, c’è qualcosa di ironico e quasi ridicolo nel venire a Bologna e parlare di costumi cinematografici. Tutti i mei colleghi penso siano consapevoli che l’Italia sia la casa del costume design. Danilo Donati, Pietro Tosi, Milena Canonero sono amici, mentori, conosco il loro lavoro e sono stata profondamente influenzata da loro. Hanno portato lo standard dei costumi a un livello così alto che non possiamo far altro che tentare di avvicinarci. Ricordo ancora l’immagine di Giulietta Masina in Giulietta degli spiriti, con indosso i costumi di Piero Gherardi. Fantastico!
Credo proprio che i costumi siano il fil rouge che unisce tutti i film del cinema italiano ed è parte integrante della cultura italiana.
Come nacque la scena dei nazisti dell’Illinois in The Blues Brothers? Cosa ne pensate alla luce della recente sentenza della Corte Suprema americana?
John Landis: Non l’ho inventata, è basata su qualcosa che avvenne realmente nell’Illinois dove al tempo esisteva l’American Nazi Party. In America abbiamo la meravigliosa spada di Damocle della libertà che ci permette di avere ogni sfumatura politica di ogni possibile schieramento. Purtroppo, The Blues Brothers fu realizzato tanto tempo fa ma le persone di quel mondo sono ancora qui con noi. Trump ha scoperchiato il vaso di Pandora liberando un’infinità di forze demoniache, come la Destra Cristiana che non è assolutamente cristiana né tantomeno democratica.
Deborah Nadoolman: Non siamo qui per parlare di politica, ma sono stata nel board esecutivo di Planned Parenthood per dieci anni e credo che questa sentenza abbia a che fare non solo con l’aborto ma anche con i diritti civili. Come questo abbia a che fare anche con il mondo dei costumi è interessante, perché il 90% dei lavoratori del settore sono donne ma non si conoscono i loro nomi. I costumi di scena non hanno etichette o firme come i grandi marchi della moda, quindi per me l’obiettivo è far spazio alle donne. Questa sentenza è tragica, ha tolto la libertà a tutte ma non possiamo tornare indietro e non lo faremo di sicuro.
C’è qualche scena di The Blues Brothers che vorresti rigirare perché è venuta male?
John Landis: Vorrei rigirare alcune delle scene musicali. All’epoca ho fatto una scelta che ritenevo giusta prendendo ballerini non professionisti a Chicago per le coreografie da affiancare a Dan Aykroyd e John Belushi, visto che non sapevano ballare e penso che Dan si sia rovinato le ginocchia per sempre in alcune scene. Per tutti i numeri girati lì ho utilizzato ballerini amatoriali e quando sono tornato a Los Angeles dopo le riprese per montare il film, guardando il girato mi sono reso conto di aver sbagliato di grosso! L’unica scena con professionisti è quella che ho girato nella chiesa con James Brown. Lui era incapace di fare lip-sync, quindi quello che vedete è tutto ripreso in diretta ed è stato abbastanza complicato.
Quando qualche tempo dopo Michael Jackson mi chiamò per girare il videoclip di Thriller mi sono detto che finalmente avrei potuto utilizzare dei veri ballerini.
Qual è il film a cui sei più legato sentimentalmente?
John Landis: Quando realizzi molti film, diventano come dei figli e i sentimenti verso di loro sono collegati direttamente alle esperienze e ai ricordi dei relativi set. Un lupo mannaro americano a Londra è stato sicuramente il più facile da girare perché in quel caso ero io a gestire il budget e firmare gli assegni quindi potevo avere tutto quello che volevo, ma il film che ancora riguardo con piacere e che mi fa ridere di gusto è I tre amigos!, non solo per i fantastici costumi di Deborah e la musica di Randy Newman ma perché i tre protagonisti – Steve Martin, Chevy Chase e Martin Short – si impegnano davvero nella comicità più sciocca.
Negli anni ’80 la scena musicale era completamente diversa da quella rappresentata in The Blues Brothers, come hai deciso di renderla protagonista nel film? Come avete creato il look iconico di Jake ed Elwood?
John Landis: Dan Aykroyd e John Belushi erano appassionati di R&B, anche se in quegli anni in giro c’erano praticamente solo musica disco, ABBA e Bee Gees. Dan voleva riportare l’attenzione su questo genere e in realtà il film stesso era già stato inventato da loro nei club di Toronto, Chicago e New Work. Avevano già i personaggi di Jake ed Elwood, indossavano già dei cappelli, degli occhiali e delle cravatte, ma quando girammo il film non era più sufficiente: dovevamo creare un look. Con Deborah decidemmo che avrebbero indossato dei Ray-Ban Wayfarer, ma credo lei sappia raccontarvi meglio di me questa parte della storia. L’unica cosa che posso aggiungere è che Dan era estremamente evangelico riguardo al messaggio di questo film e la battuta “Siamo in missione per conto di Dio” l’ho inserita proprio per prendere in giro tutto questo suo trasporto.
Deborah Nadoolman: Passo subito a Jake ed Elwood, ma vorrei solo ricordarvi che ho avuto l’onore di vestire due volte Aretha Franklin! Tornando ai Ray-Ban Wayfarer, la cosa interessante è che all’epoca erano fuori produzione. Sono andata in giro in ogni negozio possibile e immaginabile per trovarne diverse paia. Ne avevamo dieci per Dan e dieci per John, ma quest’ultimo li perdeva spesso perché ogni volta che li toglieva, con un gesto tutto suo, li appoggiava da qualche parte dimenticandoseli puntualmente. Mentre facevamo le riprese poi arrivò Paul Brickman che se ne innamorò così tanto da chiederceli per farli indossare a Tom Cruise in Risky Business. Pensandoci bene dopo li abbiamo visti nella saga di Man in Black, ne Le iene oltre al fatto che in America ogni 31 ottobre gli uomini si travestono imitando i Blues Brothers o Indiana Jones.
John Landis: Deborah mi raccontò una cosa stupenda prima delle riprese: ogni figura iconica deve essere riconoscibile dalla silhouette. Pensate a Chaplin, Indiana Jones o Marilyn Monroe quindi bisognava creare la silhouette di Jake ed Elwood e lo trovai affascinante. Non mi ricordo in quale capitolo della saga di Spielberg c’è quella scena in cui nell’ombra si staglia la silhouette di una figura con un cappello e immediatamente si capisce che si tratta di Indiana Jones!