Judas and the Black Messiah recensione film di Shaka King con Daniel Kaluuya, LaKeith Stanfield, Dominique Fishback, Jesse Plemons e Martin Sheen
La rivoluzione è l’unica soluzione.
(Daniel Kaluuya in Judas and the Black Messiah)
La straordinaria performance di Daniel Kaluuya, già vincitore del Golden Globe, del SAG e del Critics Choice Award come miglior attore non protagonista e lanciatissimo verso il suo primo Oscar dopo la nomination per Scappa – Get Out, innalza agli onori della stagione dei premi cinematografici Judas and the Black Messiah, secondo lungometraggio di Shaka King capace di ricevere sei nomination agli Oscar portando con coraggio sullo schermo la storia dell’attivista, comunista e socialista rivoluzionario Fred Hampton e di uno spaccato delle attività e delle lotte del partito Black Panther dell’Illinois.
Nel 1968 come oggi, da Fred Hampton a George Floyd, dal partito Black Panther al movimento Black Lives Matter, gli Stati Uniti del sogno americano non riescono e non vogliono affrontare con decisione il problema della discriminazione razziale e della mancanza di parità, tutela e diritti per le popolazioni di colore. Questione razziale radicata nella storia della schiavitù negli Stati Uniti d’America alla stessa stregua delle mafie e delle clientele nella storia italiana dall’era feudale in poi.
Ovunque ci sia il popolo c’è il potere.
(Daniel Kaluuya in Judas and the Black Messiah)
Identificato come minaccia prioritaria dal Direttore dell’FBI J. Edgar Hoover (interpretato da un luciferino Martin Sheen), Fred Hampton è il Messia nero, considerato più pericoloso dei cinesi e dei russi, capace di riunire i comunisti, i pacifisti e i movimenti dei diritti civili sotto un’unica bandiera, ed ancora i villici, i portoricani e le altre organizzazioni per i diritti civili e umani quali Young Lords e Young Patriots nella Coalizione Arcobaleno che si batte per tutti i fratelli e le sorelle oppressi di ogni colore. Nella sceneggiatura di Shaka King e Will Berson il gruppo fittizio The Crowns intende rappresentare una combinazione di tutti i movimenti attivisti contemporanei che unirono le forze sotto la guida di Hampton.
Implacabile Messia nero che, dopo essere stato incarcerato per cinque anni reo di aver “saccheggiato” 71 dollari di gelati donati ai bambini nelle strade, ed essere nel frattempo spiato dall’informatore dell’FBI William O’Neal (LaKeith Stanfield) infiltrato tra le Black Panther, viene giustiziato, drogato e inerme sul suo letto, durante un raid punitivo nel quale gli agenti dell’FBI e della polizia sparano 99 colpi di armi da fuoco, contro 1 esplosione degli aggrediti, misfatto che dà poi vita al più lungo processo civile dell’epoca contro la città di Chicago, la Contea di Cook e lo Stato Federale.
Puoi uccidere un liberatore, non puoi uccidere la liberazione.
Puoi uccidere un rivoluzionario, non puoi uccidere una rivoluzione.
(Daniel Kaluuya in Judas and the Black Messiah)
Ciò in cui riesce meglio Judas and the Black Messiah, oltre la magnetica interpretazione di Daniel Kaluuya, è la messa in scena del palpabile senso di minaccia al loro modo di vivere che l’indistinta massa di bianchi americani prova nei confronti dei neri, rei di stupri, saccheggi e piani di conquista della società americana, manifesta negli occhi del direttore Hoover, degli agenti dell’FBI Leslie Carlyle (Robert Longstreet) e Roy Mitchell (Jesse Plemons), il cui personaggio dopo un’iniziale accenno di moralità si rivela desolatamente monodimensionale, e più in generale di tutti gli esponenti bianchi delle forze dell’ordine.
Se pregevole è il ruolo di donna attivista e futura madre in epoca di guerra di Dominique Fishback nelle vesti della compagna di Fred Hampton, Deborah Johnson, raccontato in chiave poetica tra ideali di rivoluzione e insicurezze di genitore, meno di sostanza appare l’immagine del movimento delle Black Panther, quasi ricondotto al one man show di Daniel Kaluuya che distrae dal quadro d’insieme, in un’opera dove gli interpreti e i loro protagonisti prevalgono sul senso della narrazione.
Se hai il coraggio per lottare, hai il coraggio per vincere.
(Daniel Kaluuya in Judas and the Black Messiah)
Anche il dualismo tra il Messia nero Fred Hampton e il suo Giuda William O’Neal appare disorganico, con il ritratto di quest’ultimo che non si discosta particolarmente dai segni distintivi del traditore ipocrita e il cui conflitto interiore appare meno evidente o valorizzato rispetto alla controparte, eppure poi nella realtà tragicamente esploso nell’atto di commettere suicidio subito dopo aver reso pubblico il suo coinvolgimento come informatore al soldo dell’FBI, incaricato di minare le attività delle Pantere Nere e spiarne il leader.
Dall’influenza politica di Malcolm X e Martin Luther King ai fondatori del partito delle Black Panther Huey P. Newton e Bobby Seale, dai martiri Fred Hampton, Spurgeon “Jake” Winters (Algee Smith) e il fittizio Jimmy Palmer (Ashton Sanders) al Black Lives Matter, Judas and the Black Messiah contribuisce alla memoria e al futuro della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti, riportando alla luce eventi tragici con cui bisogna accettare di fare i conti per evitare finalmente che si ripetano all’infinito, verso il raggiungimento di veri principi di eguaglianza e libertà.