Tra gli scrittori più saccheggiati nella storia del cinema si sta ricavando uno spazio sempre più consistente Nick Hornby.
Molti dei suoi romanzi, infatti, hanno avuto una trasposizione di successo e, in generale, il suo nome è entrato nell’immaginario collettivo per uno stile ben preciso e per personaggi che forse ci ricordano quanto è bello essere appassionati e vivi. Alta fedeltà (2000) è da molti considerato un cult e lo stesso si può dire per Febbre a 90° (1997), ma in generale anche gli altri adattamenti hanno avuto più di un motivo di interesse. Che cosa lo differenzia, quindi, da tutti gli altri romanzieri che spesso vedono le loro opere brutalmente mutilate o comunque cambiate di segno nel passaggio al grande schermo? Hornby ha una scrittura molto visuale, fortemente cinematografica, e costruisce personaggi con tratti marcati, ideali per una narrazione di breve durata.
Juliet, Naked è l’ennesimo adattamento di una sua opera, Tutta un’altra musica, che racconta un triangolo amoroso sui generis.
La relazione abitudinaria di Annie con Duncan viene messa in crisi, infatti, dall’ossessione dell’uomo per il musicista rock misconosciuto Tucker Crowe. Non si tratta di un tradimento o di un’interferenza esterna: semplicemente Duncan non ha abbastanza amore da dare alla sua compagna perché lo riversa “mentalmente” in un rocker indie piuttosto melenso. Sarà un commento scritto da Annie a far entrare in gioco fisicamente il terzo uomo.
Una trama che racchiude in sé molti degli elementi tipici dei romanzi di Nick Hornby. Da una parte la passione per la musica, specialmente se fuori dai contesti mainstream. Dall’altra la commedia romantica, mai enfatica o gonfia di zucchero ma il più possibile aderente alla realtà (anche quando i presupposti sono poco credibili). In mezzo, personaggi che provano a mascherare le proprie irrisolutezze dietro a interessi che diventano vere e proprie ossessioni.
Juliet, Naked è poi un racconto che mette al centro il tema della crescita e della maturazione, oltre alla consapevolezza che nella vita non si è mai davvero pronti per diventare genitori. Nella trasposizione del romanzo, il regista Jesse Peretz riesce a mantenere quella leggerezza di fondo che è il sale dello stile di Nick Hornby.
Una leggerezza che non significa però superficialità. Forse nella seconda parte, quando il film entra nel vivo della relazione tra Annie e Duncan, alcuni meccanismi tendono a vacillare e ci si rifugia nella semplificazione. Ciononostante, Juliet, Naked non viene mai meno al suo obiettivo di partenza, coniugando con buona efficacia il divertimento a riflessioni non scontate e di (lieve) spessore.
Ovviamente il film è costruito prevalentemente intorno al trio di attori che si alternano, con la consueta ottima presenza scenica, sullo schermo.
Ethan Hawke, cresciuto sotto l’egida di Richard Linklater, indossa alla perfezione il ruolo della rockstar incasinata e con una vita sentimentale turbolenta. Rose Byrne interpreta con grazia un personaggio femminile ricco di sfaccettature e vero motore dell’azione. Chris O’Dowd mette la sua vena istrionica al servizio di Duncan, il più assimilabile per caratteristiche all’universo dei protagonisti dei romanzi di Hornby. Jesse Peretz riesce a dosare tutti gli scambi e a mantenere la giusta misura per una commedia che forse non verrà ricordata ma che ha il pregio di dire molto su di noi e sulle nostre contraddizioni.
Un film piacevole e delicato, quasi un toccasana in questi tempi bui.
Sergio