Diciamo le cose come stanno: nessuno veramente sentiva il bisogno di un Jumanji: Benvenuti nella Giungla.
L’originale Jumanji uscì nel 1995 come una trasposizione più o meno fedele dell’omonimo libro illustrato di Chris Van Allsburg, ed è ricordato, oltre che per il talento di Robin Williams, per le scene in computer graphics nelle quali elefanti e rinoceronti uscivano dal tabellone di un gioco in scatola per scorrazzare liberamente nella cittadina di Brantford, New Hampshire.
Come il board game, abbandonato su una spiaggia, adesca i passanti con il suono di tamburi, ci dev’essere un copione ad Hollywood che irretisce i produttori con un ritmato tintinnio di monete. Seguendo la regola che nessun film è intoccabile – e Jumanji è oggi considerato più un guilty pleasure che un mostro sacro – svariati sceneggiatori si sono succeduti per riportare efficacemente in auge il concetto di un mondo selvaggio parallelo che può – in un modo o nell’altro – mescolarsi con il nostro.
Per quanto possa sembrare incredibile, ci sono riusciti.
Brantford, New Hampshire, 2016: niente scuote la vita tranquilla di una cittadina nella quale l’ultimo rilevante fatto di cronaca era stata, vent’anni prima, la sparizione dell’adolescente Alex , la notte dopo che il padre gli aveva regalato un gioco in scatola che aveva trovato abbandonato su una spiaggia. Quattro studenti stereotipati – con nomi dimenticabili ma che, prendendo spunto da Quella Casa nel Bosco, chiameremo Lo Studioso, L’Atleta, La Vergine e La Sgualdrina – si ritrovano, per punizione, a dover mettere in ordine lo scantinato della scuola. Sepolto sotto uno spesso strato di polvere, trovano un vecchio videogame, Jumanji. Incuriositi, lo mettono in funzione e, appena selezionati i rispettivi personaggi, i quattro si ritrovano risucchiati all’interno del gioco, con le fattezze e le abilità dei loro avatar: Lo Studioso si sorprende nel muscoloso corpo di Dwayne Johnson, L’Atleta arranca nel goffo involucro di Kevin Hart, La Vergine fatica a riconoscersi sotto le sembianze di una Karen Gillan in stile Lara Croft e La Sgualdrina si ritrova senza Instagram e con i ‘formosi’ lineamenti di Jack Black.
Per poter tornare a casa, dovranno completare il gioco, ma per riuscirci dovranno prima imparare a conoscere se stessi e a collaborare gli uni con gli altri.
Se, leggendo la trama, avete pensato che Jumanji: Benvenuti nella Giungla non abbia nulla da offrirvi, non posso darvi torto: una sottilissima metafora sulle difficoltà dell’adolescenza, per di più avvolta nella trama di un videogame, correva il rischio di tradursi in due ore di noia tra scene trite e ritrite, effetti speciali e colori ultravivaci.
Non è così. Il film, diretto da Jake Kasdan (figlio di Lawrence e già regista di Bad Teacher e Sex Tape), pur senza lesinare in computer graphics, intrattiene per tutta la sua durata, grazie ad una sceneggiatura vivace che mette in risalto le doti del cast: Dwayne Johnson alterna con ottimi tempi comici la personalità insicura dello Studioso e la leadership del ‘dottor Smolder Bravestone’; Karen Gillan diverte con la sua interpretazione della timida Vergine alla scoperta della propria sensualità; e Jack Black… sappiamo tutti di cosa sia capace Jack Black con il materiale giusto (‘da quando ho perso il mio cellulare mi sembra che tutti gli altri sensi si siano acuiti’). Di minor effetto il personaggio di Kevin Hart, chiassosa mascotte troppo slegata dal carattere ombroso del suo omologo Atleta.
Jumanji: Benvenuti nella Giungla è concepito come reboot, nel quale l’affiatamento tra i membri del cast è l’arma segreta che potrebbe garantire futuri episodi: non è difficile immaginare i quattro attori trasportati in altre dinamiche da videogame (un gioco di ruolo fantasy? un’avventura grafica alla Monkey Island? O, perché no, un ritorno al gioco da tavolo in stile Cluedo?).
Ma il film non si tira indietro dall’essere anche un sequel, pur sapendo che legarsi alla versione precedente non può prescindere dal menzionare Alan Parrish, il personaggio interpretato da Robin Williams. Con ancora vivo il dolore per la morte dell’attore, si rischiava un omaggio troppo stucchevole, o una citazione forzata (o, peggio, un cameo alla Rogue One’). Jumanji 2 trova invece una soluzione elegante, che si sposa bene con l’idea, tutt’altro che banale, che, a volte, per essere vincenti bisogna anche farsi forza delle proprie debolezze.
Qui sotto, il trailer in lingua originale…
… e quello in Italiano