Junk Head recensione film d’animazione scritto, diretto e animato da Takahide Hori presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2021
Da corto in stop motion interamente realizzato nel 2013 dal suo autore, il designer e artista giapponese Takahide Hori, a lungometraggio d’animazione che ha richiesto quattro anni di lavorazione prima della sua uscita nel 2017, sempre ad opera di Hori che si è occupato di tutti gli aspetti artistici e tecnici, dalla sceneggiatura alla regia, dall’animazione al montaggio, dagli effetti visivi e sonori alle musiche, Junk Head ci trasporta in un incredibile universo cyberpunk di personaggi, creature e mostri in un’opera definita da Guillermo del Toro di “folle brillantezza e monumentale immaginazione“.
Il one-man band Takahide Hori, che considera la sua opera ancora work in progress e in continua evoluzione, stupisce con un immaginario visivo strabiliante e una tecnica di realizzazione straordinaria, impreziositi da una narrazione distopica accattivante, irriverente e arguta.
Dai tempi di 9, lungometraggio animato del 2009 diretto da Shane Acker e prodotto da Tim Burton e Timur Bekmambetov, anch’esso nato da un corto, candidato agli Oscar nel 2005, il mondo dell’animazione non ci regalava una storia così unica e fuori dagli schemi, capace di indagare sul futuro della nostra società oltre il velo della finzione di un mondo post-apocalittico.
Junk Head è animato da un’ironia affilata e dirompente, sin dal risveglio del suo protagonista che omaggia RoboCop di Paul Verhoeven, alle interazioni con le creature del sottosuolo, tra rimandi ai più classici vermi giganti, a Il labirinto del fauno, Minions e agli Xenomorfi di Alien.
Dopo il primo cambio “d’abito”, o sarebbe meglio scrivere di junk head (testa ricavata da rottami, prodotti di scarto), l’opera di Takahide Hori sembra dirigersi verso traiettorie più marginali e meno brillanti rispetto alla narrazione principale – l’uomo non può più riprodursi a causa delle continue manipolazioni genetiche a cui si è sottoposto per regalarsi l’elisir di lunga vita, e il nostro protagonista viene inviato negli Inferi del sottosuolo per indagare sulla fertilità dei Marigani, i discendenti delle vecchie generazioni di cloni umani ormai dimenticati da 1600 anni, un tempo utilizzati per il lavoro sottoterra prima che si ribellassero – pur rimanendo coerente a se stessa, seppur eccessivamente innamorata del proprio bestiario e protesa nel raffigurare le dinamiche del mondo mostruoso che ha meravigliosamente portato alla luce sullo schermo.
Nonostante qualche sequenza d’azione di troppo che va a colmare il disperdersi del cuore della storia che rimane oltretutto incompiuta – tra mostri di ogni tipo e in costante pericolo di vita, nel sottosuolo il nostro protagonista torna eppure a sentirsi vivo come non gli capitava più da tempo nella società evoluta dei piani alti – Junk Head si dimostra un’opera geniale frutto di un talento straordinario, che magari vuole ricordarci che i criteri della felicità cambiano e si stravolgono in base a come e dove viviamo e che prevaricazione e violenza non conoscono confini tra gli uomini, o più semplicemente rappresenta uno sfoggio d’arte e forza di volontà assolutamente unico e autoreferenziale, regalandoci in ogni caso un capolavoro visionario scolpito tra le vette dell’animazione contemporanea.
Con l’augurio che Takahide Hori possa completare la sua immaginifica opera donandole una degna conclusione, alla quale non esiteremo a riconoscere il massimo gradimento.