Kapitan Volkonogov bezhal recensione film di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov con Yuriy Borisov, Timofey Tribuntsev e Nikita Kukushkin a Venezia 78
La retro-utopia di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov è estremamente reale. Non sembra così strano che un regime totalitario torturi e ammazzi con leggerezza potenziali nemici e oppositori per mano dei suoi ciechi camerati. Dovrebbe svilupparsi come un film surreale, una spirale di crudeltà cieca e irrazionale, ma sullo sfondo si riconosce San Pietroburgo e la stessa innocente del mondo contemporaneo, avviando un cortocircuito che invalida il confortante recinto di film in costume e temporalmente ambiguo che Kapitan Volkonogov bezhal (Capitan Volkonogov è scappato) suggerirebbe.
Il capitano Fyodor Volkonogov (Yuriy Borisov) scopre di avere di avere un’anima dopo aver passato la sua vita a utilizzare metodi speciali per estorcere artefatte verità dalle bocche della povera gente. Una censura violenta e preventiva che richiede a chi la pratica un distacco brutale dalla realtà che non può venir meno in qualsiasi momento, pena la svelamento dell’inganno. Da carnefice il soldato russo si trasforma in dissidente, traditore, per cominciare la ricerca di un perdono che possa garantirgli un posto in paradiso.
Vedere un boia che si presenta intraprendere una via crucis per chiedere perdono dopo aver seviziato e spedito all’altro mondo un tuo familiare è un percorso straniante e curioso. L’egoismo di chi è alla ricerca ossessiva di una grazia per sistemarsi per l’eternità si contamina lentamente con l’accumulo di incrinature nella fiducia del capitano Volgonov sull’esserne degno. Il suo destino terreno è segnato nel momento in cui cerca di porre ingenuamente rimedio al suo operato, ma il suo aldilà rimane pericolosamente in bilico fino alla fine.
I registi russi, attraverso Kapitan Volkonogov bezhal, si interrogano sulla possibilità di redenzione di un individuo coinvolto in un sistema inumano e alienante. Può la tortura essere disincantata? Cosa trasforma un regime nelle persone che si nascondono dietro insegne e uniforme? Le risposte si fanno carne nel volto enigmatico Yuriy Borisov, lasciandone allo spettatore il compito di testarne la solidità.
Bisogna vincere la resistenza iniziale a considerare questo film russo, in concorso alla 78° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, un thriller matto e separato dal mondo reale. Accettandone le regole e riconoscendo la somiglianza con questioni storiche ma estremamente attuali, si apre uno scenario di riflessione su un qualcosa che non dovrebbe esistere ma che finisce per essere tristemente noto a tutti e inconsapevolmente accettato. Si può scappare ma, come Fyodor, bisogna guardare in faccia la realtà per provare a smacchiarsi la coscienza.