Kidding 2 – Il fantastico mondo di Mr. Pickles recensione della seconda stagione della serie ideata da Dave Holstein con Jim Carrey, Frank Langella, Judy Greer e Ariana Grande
A meno di due anni dalla prima stagione, Jim Carrey torna a vestire i panni di Jeff Piccirillo e il suo alter-ego televisivo Mr Pickles in Kidding 2 – Il fantastico mondo di Mr. Pickles (2018-2020), con cui dare il meritato addio a una serie tanto interessante quanto elaborata a livello drammaturgico.
Con Kidding, infatti, c’è ben poco da scherzare. La serie tra i cui produttori spicca Michael Gondry – con cui lo stesso Carrey ha già collaborato nel 2004 in quell’autentico gioiello filmico di Se mi lasci ti cancello (2004) – è la dolorosa e straordinaria fiaba di un uomo incapace di elaborare il lutto di uno dei due figli.
Generando così un conflitto apparentemente irrisolvibile tra l’uomo e il volto pubblico. Un’autentica escalation di eventi il cui motore scenico è la rabbia repressa mai realmente elaborata, che sfocia in attacchi di violenza psicotica e paranoia. Una rabbia immagazzinata per anni nell’animo di Jeff, che va in aperto contrasto con la natura mite e apparentemente serena del personaggio interpretato da Carrey.
Prodotta da Showtime, il secondo ciclo d’episodi della serie che vede tra i suoi interpreti Jim Carrey, Judy Greer, Frank Langella, Catherine Keener, Justin Kirk e una guest star d’eccezione come Ariana Grande – prevede dieci episodi; equamente trasmessi su Sky Atlantic in due appuntamenti da mini-bingewatching il 31 agosto e il 7 settembre 2020.
Kidding 2: sinossi
Per la prima volta in trent’anni il Mr. Pickles’ Puppets Time, lo show prodotto da Sebastian Piccirillo (Frank Langella) e condotto da Jeff Piccirillo/Mr. Pickles (Jim Carrey) – non va in onda; per Jeff significa reinventarsi, trovando così un nuovo modo per comunicare con il suo pubblico di giovanissimi (e non). Nel frattempo, deve anche ricostruire il proprio equilibrio personale tra il ruolo di personaggio pubblico, e la vita familiare con il padre Seb, la sorella Deirdre (Catherine Keener), l’ex-moglie Jill (Judy Greer) e il figlio Will (Cole Allen).
Jeff crea quindi un nuovo – ma decisamente controverso – metodo per comunicare con i bambini di tutto il mondo; portandolo così, per la prima volta in carriera, ad essere il bersaglio di critiche e dell’ostilità del suo stesso pubblico. Un’escalation di eventi che porterà Jeff a prendere una decisione drastica, e a scoprire un nuovo lato di sé stesso.
Il conflitto scenico cucito addosso all’immenso talento di Jim Carrey
In piena coerenza narrativa, la seconda stagione di Kidding si apre nel momento “di chiusura” esatto della prima, ovvero con un evento traumatico volto ad annientare quel che resta dell’equilibrio psichico in Jeff. Una collisione con cui esternare la crisi del rapporto e delle dimensioni individuali del Jeff di Carrey. Un conflitto divenuto impossibile e dicotomico tra la sua maschera goffmaniana di Mr. Pickles, e quella del fragile uomo di nome Jeff che la indossa. L’audacia narrativa, sta nell’espediente del montaggio alternato dotato di un sync sonoro da manuale; raccontando così – simultaneamente – il principio e la fine del matrimonio tra Jeff e Jill.
Declinato in una sorta di anti-favola natalizia che esalta – di riflesso – il tono grottesco di una sequenza con cui raccontare i postumi di un “apparente” incidente, dove la forzata ricostruzione delle tradizioni natalizie familiari è pura magia capriana fittizia e contraffatta.
L’espediente del montaggio alternato prosegue in tutta l’apertura del racconto, nel mostrarci l’arrivo in ospedale in due contesti scenici tragicamente opposti e dicotomici; nella risoluzione del conflitto scenico della dimensione familiare, ricondotta alle conseguenze dirette dell’azione violente nella sfera scenica del figlio Will, in un misto di tradizione natalizia, bugie (niente affatto) bianche e opportunismo.
“Lei è stato un bimbo buono quest’anno?”
Tutti elementi volti a potenziare la dimensione narrativa della caratterizzazione del Jeff di Carrey. In una fitta rete di bugie, di parole non dette, e di “facce da poker”, con cui esternare l’immenso talento recitativo del suo magnifico interprete. Tra transizioni di montaggio alternato tra passato e presente, che se in apertura di racconto risultavano frutto di un sync “tecnico”, nel dispiego dell’intreccio diventano di tipo “narrativo”; conseguenza di un tragico tracollo psicotico con cui unire gli eventi della nascita di una famiglia, alla fine della stessa mascherata da nuovo inizio. Eventi che conducono il Jeff di Carrey a mantenere il suo delicato equilibrio psichico appeso per un filo.
Ma la presenza del Peter di Kirk aleggia lungo tutto il racconto, in sensi di colpa tangibili, di cui si può avvertire il peso sulle spalle e nel crollo di nuove certezze mascherate da bugie. Fino a un evento di catarsi scenica, con cui Jeff fa la cosa giusta e accetta le conseguenze del proprio destino; nella solitudine dell’individuo e in un’intera sequenza “picklesiana” che gioca con le estetiche del suo show. Sequenza d’importanza vitale nel racconto, perché permette al Jeff di Carrey di accettare il proprio dolore, risolvere il conflitto con Peter e sublimare la rabbia repressa.
Non soltanto Jeff comunque. La “premiere” di Kidding alleggerisce il tono tragico per mezzo dell’appena accennata crisi del matrimonio della Deirdre della Keener e dall’arco narrativo del Sebastian di Langella, che tra una sferzante critica omosessuale a un gioco per bambini e la sua caratterizzazione di cinismo misto ad aiuto paterno, dà dinamicità al racconto accettando le proprie responsabilità “di padre” nella crisi psicotica di Jeff.
Kidding 2: Il canto del cigno di una serie dal grande peso drammatico
Dal trailer è desumibile come la seconda stagione di Kidding ponga al centro del racconto la risalita del suo protagonista dagli abissi dell’oblio. Un’evoluzione degli archi narrativi ragionata, con cui Jeff potrà finalmente scindere le dimensioni individuali di sé stesso e il suo alter-ego televisivo, o magari scegliere di abbandonare del tutto Mr. Pickles.
In ogni caso, qualunque sarà la trasformazione scenica di Jeff, Kidding chiude con la consapevolezza d’essere stata una mosca bianca nel panorama seriale contemporaneo. Un racconto la cui atipicità narrativa dal linguaggio filmico elaborato, avrebbe forse meritato maggior attenzione, o anche semplicemente una terza stagione.
Kidding ci lascia, con i suoi toni cupi, a volte grotteschi, ma profondamente drammatici di un racconto cucito addosso a un Carrey che dopo l’accoppiata The Truman Show/Man of the Moon nel biennio 1998-1999, s’è riscoperto splendido interprete drammatico; autore di performance capaci di toccare impensabili corde dell’animo umano.