Kill Me If You Can recensione documentario di Alex Infascelli con Raffaele Minichiello, George Ackles, Travis McFarland e Tom Kalemkarian
Kill Me If You Can. Compare questa espressione sull’elmetto da guerra del marine famoso per essere diventato l’uomo che ha condotto il dirottamento di un aereo più lungo della storia, Raffaele Minichiello. Un “eroe”, come è stato definito dai telegiornali e dal popolo nazionale subito dopo il suo arresto all’aeroporto di Roma Fiumicino. Ultimo dei quattro pit stop di rifornimento per l’aereo, con destinazione finale Il Cairo, in Egitto.
Kill Me If You Can del regista italiano Alex Infascelli ‒ S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick (2015) e Mi chiamo Francesco Totti (2020) i suoi lavori più conosciuti ‒ è la storia di Raffaele Minichiello, la voce narrante inquadrata in primo piano nel documentario, che appena ventenne (il suo compleanno festeggiato proprio in quel lungo volo transatlantico) ha dirottato nel 1969 un Boeing 707 della TWA che decollava da Los Angeles fino a San Francisco. Polizia alle calcagna dal secondo aeroporto americano fino a quello italiano, telegiornali all’erta per diffondere su larga scala la notizia sul “caso Minichiello” e infine l’arresto in territorio nostrano.
È una storia tra alti e bassi quella di Kill Me If You Can. Raffaele Minichiello passa alla storia come un eroe per aver sfidato alla sua giovane età il potere degli Stati Uniti, le sue regole violate in quegli anni, la sua nonchalance nel portare a bordo una carabina carica di proiettili realizzati da lui stesso spacciandola per una canna da pesca, i comandanti e l’hostess Tracy presi come ostaggi nel lungo percorso dall’America all’Italia. Una storia, questa, che ha radici ben più profonde del suo esordio da paladino della patria.
Minichiello, originario di Melito Irpino, in Campania, era immigrato nel 1962 con la sua famiglia negli States, si era arruolato nel corpo dei Marines quando aveva diciassette anni per prendere parte alla guerra in Vietnam e già lì manifestava pensieri oltre i limiti. Pensieri da ragazzi. Mai messi in atto. O almeno, fino al dirottamento intercontinentale che lo rende noto a livello mondiale (“la guerra ti cambia”, dice in un frame Minichiello). La condanna alla reclusione a sette anni scontata solo in un anno e mezzo. La popolarità nel reinserimento sociale, tre matrimoni in totale, il quarto forse mancante (Raffaele e l’assistente di volo Tracy si erano innamorati sul famigerato volo), il rapporto conflittuale con il primo figlio, le sue vicissitudini lavorative e familiari, l’incontro con la religione, fino alla sua riconciliazione dopo tanti anni con gli Stati Uniti d’America.
Kill Me If You Can, tratto dal libro Il marine – Storia di Raffaele Minichiello di Pierluigi Vercesi e Raffaele Minichiello e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso anno, racconta una storia a tappe in un misto di incredulità e sorpresa, con lo stesso Raffaele Minichiello rilassato ed emozionato che scopre le sue carte, si spoglia della sua corazza e si libera del suo fardello nel film della sua vita. Ma questa non è finzione cinematografica, è realtà. E Alex Infascelli rimane tanto ammaliato dal suo atipico modus operandi (per salvare la pelle, sia chiaro) da mostrarlo a tutti, nella sua affascinante singolarità. Peccato solo che lo fa con un abuso di colonna sonora che sovrasta anche la parte dialogata in molte scene, che si intreccia con qualche buco narrativo di troppo che tende a smorzare l’intelligibilità di snodi funzionali alla storia.