Kinds of Kindness recensione film di Yorgos Lanthimos con Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Margaret Qualley, Hong Chau, Joe Alwyn, Mamoudou Athie e Hunter Schafer
Con Yorgos Lanthimos c’eravamo lasciati nemmeno pochi mesi fa con Povere creature! (Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia), storia di emancipazione femminile in un contesto dai connotati quasi steampunk, adesso lo ritroviamo con Kinds of Kindness (appena presentato al Festival di Cannes all’interno del concorso principale, nei cinema italiani a partire dal 6 giungo con Disney e Searchlight Pictures) che appare come una sorta di ritorno alle origini, a partire dalla collaborazione in sceneggiatura con il fidato Efthymis Filippou (co-sceneggiatore di Dogtooth e di The Lobster).
Infatti, sin dalle prime immagini, le sensazioni avute erano proprio quelle di un Lanthimos più spiazzante e meno giocoso rispetto agli ultimi film, quasi come se volesse rifare il cinema che lo ha reso celebre, però con più mezzi e disponibilità economiche a suo favore. Una specie di aggiornamento di tematiche già ampiamente affrontante agli esordi, ma incanalate in contesti diversi e assolutamente distanti. L’ambientazione cambia, la voglia di stupire lo spettatore però rimane sempre constante; nonostante il successo e l’essersi consacrato come uno tra i registi europei più influenti allo stato attuale, non si è dimenticato il suo vecchio modo di fare cinema.
Ci sono registi arrivati alla fama che ripetono il solito canovaccio con risultati a volte altalenanti per non dire disastrosi (ovviamente le eccezioni non mancano, ad esempio Woody Allen che realizza film nelle premesse sempre uguali, ma poi all’effettivo opposti tra di loro e molto spesso uno più bello dell’altro), Yorgos Lanthimos per fortuna non rientra in questa categoria.
Kinds of Kindness è suddiviso in tre capitoli che vengono accompagnati da uno strano personaggio conosciuto con le sue iniziali R.M.F., il quale si fa protagonista anche dei titoli di ogni capitolo. R.M.F. così facendo diventa un narratore muto delle varie linee narrative, poiché non sentiamo quasi mai la sua voce. I veri partecipanti, a dispetto della titolazione come descritto poc’anzi, sono altri e in altrettante vesti.
In pratica gli interpreti sono sempre gli stessi (un po’ come si usava fare tanti anni fa nelle commedie corali ad episodi e non solo), ma che ogni volta mettono in scena le idiosincrasie di persone con comportamenti diametralmente opposti a quelli di chi le ha precedute, però con una dose massiccia di pazzia presente in ognuna di loro.
Ad incarnare questi personaggi troviamo vecchie conoscenze del cinema di Lanthimos (come Emma Stone, Willem Dafoe e Margaret Qualley, già presenti nel candidato agli Oscar Povere creature!) e nuove come Jesse Plemons, vero mattatore di ogni singolo momento insieme alla Stone (non ci stupiremmo se Plemons per i suoi molteplici ruoli ottenesse un premio al Festival di Cannes o altrove), che tra qualche tempo ritroveremo di nuovo sotto la regia regista greco. Un sodalizio decisamente vincente sotto tutti i punti di vista.
Sembra una banalità considerando la carriera cinematografica di un regista come Lanthimos, ma in Kinds of Kindness, grazie anche alla possibilità di confrontarsi con una così vasta presenza di scenari possibili e al tempo stesso autonomi (e fortunatamente equilibrati), il regista può permettersi di perturbare maggiormente l’animo dello spettatore che assisterà a tale spettacolo rispetto al passato. Ma soprattutto di non far sconti a nessuno, società e politica annesse.
Per Lanthimos è dunque un ritorno ad un cinema duro, capace di analizzare una realtà con trovate stilistiche dal forte impatto visivo, dove le persone più che indossare delle maschere hanno deciso di lasciar scatenare tutta la rabbia repressa nei propri corpi. Una escalation di pura follia che può essere culminata solo con la morte.
Nonostante questa costante ricerca di portare l’eccesso oltre confini mai realmente superati, Kinds of Kindness purtroppo pecca nel voler rendere l’estremo un concetto estendibile in ogni forma. Se da un lato può funzionare spingersi sempre più nei meandri dello shock, dall’altro risulta essere tutto schematico e ridondante. Una violenza visiva estenuante e che non porta ad impreziosire le tematiche già interessanti messe in sceneggiatura. Anche in altri film precedenti questo eccesso era presente, ma ben dosato con quanto veniva narrato.
Il vero limite del nuovo folle lungometraggio del regista di Dogtooth (il film forse più simile per intenti e sguardi, si potrebbe ammettere che in un certo senso Kinds of Kindness sia la versione statunitense di quest’ultimo) sta proprio nell’avere voluto rendere la violenza ancora più estetizzante di quanto non lo sia in operazioni del genere. Per il resto nulla da eccepire, il comparto tecnico e artistico è pregevole, resta solo il rammarico per non aver pensato di mettere un freno alle varie brutalità messe in scena.
Di per sé non un grande problema se coerenti con la narrazione, sempre se ciò porta ad un equilibrio tra i vari reparti. Infarcire i discorsi di violenza gratuita su schermo può essere pericolosissimo.
A chi è fan della prima ondata Kinds of Kindness non dispiacerà affatto, ci sono tutte le componenti tipiche del suo cinema degli esordi. Chi cerca il Lanthimos de La favorita e di Povere creature! potrebbe rimanere parzialmente deluso.