Kraven – Il Cacciatore recensione film di J. C. Chandor con Aaron Taylor-Johnson, Ariana DeBose, Fred Hechinger, Alessandro Nivola e Russell Crowe
Se negli ultimi due decenni al Marvel Cinematic Universe (MCU) è stata spesso recriminata una fastidiosa discontinuità nella qualità dei prodotti, lo stesso non si può dire del Sony’s Spider-Man Universe (SSU), che sembra aver conquistato una coerenza e una costanza a dir poco rare.
Dal 2018 – anno di uscita del primo Venom – Sony Pictures è infatti riuscita nell’ostico e quasi ammirevole sforzo di distribuire una sequenza di film caratterizzati da una media qualitativa a dir poco modesta (per usare un eufemismo), tutti in grado di suscitare nella maggior parte degli spettatori paganti quella particolare sensazione di disgusto misto a indifferenza.
In tal senso Kraven – Il cacciatore può dirsi pienamente in linea con quanto realizzato finora all’interno del SSU, di cui, tra l’altro, sarà l’ultimo esponente, a ulteriore testimonianza del “particolare” apprezzamento riservato dal pubblico. Il lungometraggio con protagonista Aaron Taylor-Johnson rappresenta infatti il degno testamento di un progetto fallimentare, iniziato male e finito peggio.
La poderosa pigrizia della sceneggiatura, riflessa nella maggior parte degli elementi profilmici della produzione, restituisce costantemente la sensazione di un’opera (se così si può definire) la cui genesi non affonda le proprie radici in un progetto editoriale realmente stratificato, ma, al contrario, in una serie di obblighi contrattuali mal concepiti e ancora peggio eseguiti.
L’approssimazione narrativa a cui Kraven sottopone lo spettatore è a dir poco sconcertante e sembra celare costantemente la necessità di raccontare un universo vastissimo in una manciata di inquadrature.
Se è vero che gran parte delle virtù del mezzo audiovisivo risiedono proprio nella capacità di evocare un intero firmamento emotivo attraverso una singola immagine – vedi il leggendario slittino di Citizen Kane – è altrettanto evidente come J.C. Chandor (regista di Kraven) non sia Orson Welles…
Al netto di una dinamica familiare tanto prevedibile quanto apprezzabile, non vi è un solo aspetto dell’ultima “fatica” dell’SSU che meriti di essere promosso. Dall’assenza di riferimenti narrativi in grado di attivare il più elementare meccanismo logico di causa-effetto, fino alla recitazione dello stesso Aaron Taylor-Johnson, il quale parrebbe aver individuato in un’espressione piuttosto forzata, sfoggiata ad ogni piè sospinto, la soluzione recitativa per trasporre il proprio personaggio su schermo.
Dunque, se desiderate prendere visione di un prodotto falcidiato da plateali e mastodontiche voragini narrative, vi basterà accomodarvi sul divano e rivedere Spiderman – No Way Home. Quantomeno risparmiereste soldi, evitereste la pioggia, il traffico e di certo vi divertireste sicuramente più di quanto possa accadere davanti ad un lungometraggio in bilico tra la noia e la sciatteria.