L’amica geniale al FeST 2021: incontro con lo sceneggiatore Francesco Piccolo e i produttori, da Maria Pia Ammirati a Domenico Procacci
Dal rione al resto del mondo, il caso de L’amica geniale. Incontro con Maria Pia Ammirati, Dario Morelli, Francesco Nardella, Francesco Piccolo e Domenico Procacci
In Italia ci sono poche sere tv al pari de L’amica geniale, una storia profondamente italiana, ma allo stesso tempo universale. Durante la terza edizione del FeST – Il Festival delle Serie Tv, la direttrice artistica Marina Pierri ha moderato il panel dedicato alla serie creata da Saverio Costanzo con lo sceneggiatore Francesco Piccolo e i produttori Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, Francesco Nardella, vicedirettore di Rai Fiction, Dario Morelli, COO di The Apartment di proprietà del gruppo Fremantle e il noto produttore Domenico Procacci.
L’amica geniale: incontro con lo sceneggiatore Francesco Piccolo e i produttori al FeST 2021
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Maria Pia Ammirati: che cosa rende L’amica geniale un successo di Rai fiction?
Maria Pia Ammirati: Quando iniziamo a parlare delle cifre che circondano Elena Ferrante ci rendiamo conto come il suo romanzo sia ovunque. È un romanzo che ha conquistato il mondo e a questo si aggiunge l’impatto massivo che ha avuto la serie tv e lo streaming, parliamo di numeri di ascolti straordinari. Un ascolto che si muove sui 7 millioni a serata, una platea che è cresciuta sempre di più. Perché allora un testo diventa così universale partendo da un rione? Sulla scia dei grandi successi napoletani, in lingua madre, devo partire da un fatto autobiografico, dal 1992 quando nasce L’amore molesto di Elena Ferrante, anno in cui mi viene consigliato questo libro da Pietro Ferri, la seconda nota autobiografica sono le mie radici napoletane che mi lasciano folgorata davanti a questo romanzo. Scrivo un pezzo in cui dico di essere rimasta folgorata davanti a ciò che riusciamo a fare con quella lingua madre così atroce, così violenta, una durezza difficile da trovare altrove e che riesce a tradurre un romanzo di formazione in un opera polifonica, è nell’Italia che cambia che dobbiamo cercare il cuore dell’opera. Nell’estetica del brutto non del bello vi è la forza de L’amica geniale, una forza espressionista, rapace, che si traduce in fiction. Francesco Piccolo ha accompagnato fino dall’inizio la realizzazione di quest’opera. Un’altra grande forza di questo che è diventato un caso planetario lo dobbiamo proprio alla sceneggiatura, una traduzione fedele e infedele che è stata realizzata sotto l’occhio vigile di Ferrante che ha accompagnato i vari sceneggiatori. Siamo al montaggio della terza stagione e siamo felici di come si sta lavorando alla post-produzione. Quello che ha fatto Saverio Costanzo nella prima serie è stato trovare il cuore di questa storia e portare sullo schermo il romanzo di formazione di due alleate, nemiche, riflesse l’una nell’altra come in uno specchio. Poi c’è il libro bellissimo di Anna Maria Guadagni che entra nel cuore del testo della Ferrante senza cercare di tracciare la sua storia, per poi andare a vedere la filmica dell’opera, un’osservazione spaziale che mostra un mondo che deve nascere, l’esplosione e il fuori da questi luoghi che avranno più spazio dalla seconda stagione.
Francesco Nardella: L’amica geniale, la serie, è frutto di un lavoro di produzione enorme: com’è lavorare con HBO?
Francesco Nardella: È molto facile lavorare con i grandi produttori, non sono rapaci che arrivano per i diritti, ma sono i più grandi produttori televisivi, quindi è stato facile. La responsabile del progetto HBO è di origini napoletane, il che ha comportato un avvicinamento generale, ci siamo incontrati a Caserta, è stato un rapporto semplice perché quando trovi un partner giusto per una serie, con la sensibilità giusta per lavorare creativamente è tutto molto semplice.
Ti ricordi le prima conversazioni che sono intercorse nella realizzazione della serie e che rapporto hai con i libri?
Francesco Nardella: All’inizio di questa avventura è stata centrale la lettura dei romanzi. La qualità della scrittura, la forza della storia e dei personaggi era evidente, non è stato un salto nel buio. Fin dall’inizio è stato chiaro che dovevamo decidere gli aspetti più importanti con attenzione, comunicando con la Ferrante sono stati proposti Franceso Piccolo e Laura Paolucci. L’accordo sulla scrittura l’abbiamo trovato subito, sulla regia invece lei aveva pochissimi nomi e uno di questi era Saverio Costanzo, che in quel momento quando ho presentato il progetto ha accettato, ma era in esclusiva per un’altra società e quindi cercavamo di capire come fare. In Rai era già partito l’avvio della scrittura fino a quando non è stato proposto di realizzare un progetto più grande di quello che potevamo fare da soli. Ci siamo rivolti ad HBO coinvolgendoli nel progetto, successivamente abbiamo unito le forze con Fandango, una società con dimensioni diverse dalla Rai e una expertise diversa, nell’ottica di fare il meglio possibile e anche guadagnare il più possibile andando verso il prodotto migliore da realizzare. È stato tutto positivo.
Francesco Piccolo: l’enorme fedeltà ai romanzi capita raramente con la serialità. In questo caso la trasposizione è una traduzione, come fosse un prodotto unico?
Francesco Piccolo: In realtà non è esattamente così, la nostra è una trasposizione piena di piccolissime infedeltà per avere una fedeltà finale. Nelle trasposizioni cinematografiche o seriali il principio per cui bisogna tradirli è sbagliato, il tentativo che devi fare è far riconoscere oltre che far vivere l’opera. Queste mille infedeltà ne L’amica geniale rappresentano una qualità visibile, perché sono i quattro libri de L’amica geniale che hanno le caratteristiche di una serie tv. Dieci bambini la cui vita continuerà ad intrecciarsi per tutto il loro percorso con colpi di scena melodrammatici. Divenendo il libro famoso in tutto il mondo siamo poi partiti da una prospettiva precisa, fregarcene del mondo, del mito dei libri, pensando solo al racconto. Fin ora abbiamo raccontato una condizione produttiva particolare, un processo particolare, ma l’aspetto più importante credo sia un lavoro in cui gli sceneggiatori devono crederci molto perché quando scrivi riesci a costruire l’immaginario. In questo rione noi abbiamo immaginato Dickens, ma la realtà è che la stessa opera di Ferrante nasce dal romanzo popolare, ha una forza reale e letteraria. Per questo il lavoro è stato molto protetto, abbiamo costruito qualcosa condiviso da tutti, andavamo tutti nella stessa direzione. L’autrice stessa non solo firma la sceneggiatura, ella ne è protagonista. Appena abbiamo trovato il tono poi siamo andati dritti, continuando a scrivere, anno dopo anno, sapendo cosa stavamo facendo e sapendo che funzionava. A un certo punto cominceremo la quarta stagione e quello è un po’ malinconico.
Dario Morelli: L’amica geniale è un vero e proprio colossal: crede che ci sia la consapevolezza della quantità di lavoro straordinario che vi è alle spalle?
Dario Morelli: Credo che solo gli addetti ai lavori che stanno sul set da molto tempo riescono ad individuare quanto tempo produttivo vi è stato dietro un prodotto e quanto budget è stato investito. Io anni fa venivo dai talent dal mondo dell’intrattenimento, il pubblico non può intuire che dietro uno show ci sono tot comparse, spese, tempi, costruzioni, ma al di là dei numeri e del coinvolgimento di migliaia di persone, c’è la percezione che l’affezione alla storia dipenda dalla sospensione dell’incredulità che una macchina di questo tipo riesce a sostenere.
Maria Pia Ammirati: L’essere una storia profondamente italiana dipende dal rione come luogo simbolo di molti luoghi italiani e universali?
Maria Pia Ammirati: Beh sicuramente, la scenografia, il luogo in cui fai muovere i personaggi, è importantissima. Ci dobbiamo muovere sui costi, le produzioni sono fatte di mille anime, di un conto economico che deve reggere tutto il sistema e che deve reggere una grande comunicazione. Per fare un colossal c’è stato bisogno di uno sforzo importantissimo all’interno della produzione. Il lavoro più importante che fa la Rai è una co-produzione, noi facciamo questo lavoro perché i personaggi devono diventare persone, carne ossa con cui identificarci. Con una sceneggiatura che cambia costantemente, verso il mondo che piano piano esplode, ma al centro vediamo sempre il rione. È un romanzo in cui la deformazione è molto importante, questa è la forza è un racconto vero che va fino alla verità, fino al disgusto, è la forza di un rapporto tra uomo e donna. Percepiamo in modo violento il rapporto che Lila vive, accompagnando la formazione di queste due ragazze vediamo così la lotta tra maschile e femminile che è anche corporea. La potenza di un pensiero che non possiamo più collocare al centro della nostra società, ma che è stato presente per tantissimo tempo, è una potenza di racconto dove non si risparmia nulla della storia che abbiamo attraversato. Una penombra che vediamo nella sua interezza. La grande lotta tra Lila e Lenu è questa, e la vediamo senza risparmiarci nulla.
Francesco Nardella: qual è stato l’impatto delle riprese su Napoli?
Francesco Nardella: L’impatto su Napoli è stato enorme. Una volta arrivato in stazione vedo che è stato bloccato il traffico. Sceso dal taxi mi incammino, ma non era tanto l’iper-fenomeno delle macchine d’epoca, andando verso i tribunali dove giravamo è stato come tornare indietro di cinquant’anni grazie a Giancarlo Basili, che non solo è un grandissimo scenografo, ma un art director che ha realizzato un set dando lavoro a moltissimi giovani del luogo. Tutti in città capivano la grandezza della realizzazione di questa serie.
Domenico Procacci: il sud è stato raccontato molte volte, ma non tanto di frequente dalla prospettiva di due donne giovani.
Domenico Procacci. È un altro sud, ci sono dei valori che vengono raccontati e che è interessare raccontare attraverso questo linguaggio, al suo interno non c’è solo il grande classico di chi resta e chi va via. Ne L’amica geniale c’è da parte di Elena una costante nell’andare e tornare, un sud da combattere, ma che fa parte di lei e che la porta a tornare. Io vengo dalla produzione di Gomorra e anche in quel caso vi era tantissimo pubblico a dimostrazione del grande interesse. Sono due racconti diversi ma in entrambi c’è tanta violenza. Una bambina con il talento di Lila a cui viene impedito con la forza di studiare, lì vedi quanto vi sia una parentela lontana con quello che succede in altri paesi, situazione che combatti anche se magari non riesci a vincerla. Poi c’è una rete di valori concreti, di cui è portatrice la stessa Elena, colei che conosce il nord e in cui nasce il dubbio: forse c’è più verità in un mondo brutto che fa parte di lei. Il discorso sul sud è molto interessante, è normale che lo spettatore non capisca lo sforzo ma è importante raccontarlo.
Francesco Piccolo: come hai costruito Lila e Lenù, due personaggi così diversi?
Francesco Piccolo: C’è una risposta che è molto importante rispetto alla particolarità della serie: qualsiasi serie che ha avuto numerose stagioni si rivitalizza ogni volta e nasce perché la stagione precedente è andata bene, insieme ai personaggi che vanno bene e che continuano ad andare avanti. Qui avevamo invece sin dal principio quattro serie con dei personaggi che andavano avanti, ogni personaggio doveva restare, doveva continuare ad essere presente e gli attori non potevano andarsene, è un arco di tempo lunghissimo in cui non sarebbe stato possibile muoversi. Nessuno sceneggiatore che ha due bambine sa cosa faranno per tutta la vita, e questa cosa è gigantesca. C’è una scena nelle prime pagine che è tutto il romanzo. Lila decide di attraversare il tunnel per vedere il mare, Elena fa tutto quello che Lila vuole e così la segue come una madre, ma man mano che si allontanano Elena vuole andare avanti, mentre Lila vuole tornare indietro. Questo succede per tutte e quattro le stagioni, ma la cosa pazzesca è che senza Lila, Elena non si sarebbe mai accorta che voleva andare a via. Il cinema e le serie tv scarnificano i libri, la serie ne mostra la colonna vertebrale, due ragazze destinate ad essere come le loro madri che decidono di studiare per riscattarsi. Ferrante dice alle ragazze che se studiano possono fare quello che Jo fa in Piccole donne. Scarnificare tutto è stato possibile perché avevamo di fronte tutta la storia, il che è una cosa molto grande.
Dario Morelli: come avete bilanciato l’aspetto economico con l’aspetto creativo?
Dario Morelli: Credo che l’opera debba nascere e nasca senza la prospettiva televisiva, la realizzazione pratica ha sempre delle incognite che solo i produttori possono affrontare. La quintessenza del lavoro del produttore deve essere separata dalla letteratura e viceversa.