L’anno che verrà recensione film di Grand Corps Malade e Mehdi Idir con Zita Hanrot, Liam Pierron, Soufiane Guerrab, Moussa Mansaly, Alban Ivanov, Antoine Reinartz e Redouane Bougheraba
Dalla Palma d’Oro vinta a Cannes nel 2008 da La classe – Entre les murs, il cinema francese ha mostrato negli anni una fascinazione per la rappresentazione del mondo scolastico, specialmente nelle realtà ai margini. La banlieue parigina è infatti diventata teatro di film in cui mettere in scena le differenze culturali, l’emarginazione e, alle volte, anche le possibilità di riscatto di alcuni ragazzi dotati di talento ma ingabbiati nella propria prigione sociale. Nelle tue mani o La mélodie sono solo due esempi recenti di un interesse che sta dando vita gradualmente a un vero e proprio filone, con risultati più o meno riusciti.
L’anno che verrà si immette in questa scia con un approccio tendente a un realismo molto più accentuato rispetto a quanto visto in passato. Un intero anno in una scuola media della periferia di Saint Denis presentato attraverso la prospettiva di chi la vive quotidianamente: docenti e alunni. Da una parte la giovane Samia, al primo anno come vicepreside nell’istituto e desiderosa di fare il possibile per dare supporto ai ragazzi in difficoltà; dall’altra Yanis, adolescente con grandi potenzialità ma segnato dalla mancanza del padre, finito in galera, e da una generale disillusione verso quello che sarà il suo futuro. In mezzo, una serie di personaggi a volte sfumati, a volte approfonditi, che danno struttura a un universo in cui si amplificano le problematiche della nostra società.
I registi, il poeta francese Grand Corps Malad e Mehdi Idir, pongono il loro sguardo al servizio di un racconto che non vuole riscrivere i codici del genere. Lavorando con attori non professionisti, traggono dalla loro spontaneità quelle scintille di realismo che rendono credibili le situazioni messe in scena. Non succede nulla di particolarmente destabilizzante in L’anno che verrà, non viene mai calcata la mano su situazioni eccessive o emotivamente forti: il cuore della narrazione è la quotidianità, gli scontri con l’insegnante di turno, le differenze di classe, il razzismo, la consapevolezza di essere lasciati ai margini da un sistema che ha già deciso tutto. Nonostante la sensazione di déjà-vu sia sempre dietro l’angolo, il film tiene proprio grazie alla sua profonda sincerità, all’aderenza a uno stile che vuole essere nient’altro che un pedinamento della realtà. Qua e là si palesa qualche semplificazione di senso, come se si volesse rendere il tutto volutamente comprensibile, che è da attribuire però anche alla veridicità dei protagonisti.
Nel complesso, L’anno che verrà è un film che, collocato in questo particolare periodo distributivo, sia per questioni stagionali che legate alla ripresa dopo il lockdown, potrebbe riuscire a trovare un suo pubblico di riferimento. Le sale hanno infatti bisogno di ripartire anche dal (buon) cinema medio.