L’esorcista del papa recensione film di Julius Avery con Russell Crowe, Laurel Marsden, Alex Essoe, Ralph Ineson, Franco Nero, Daniel Zovatto e Paloma Bloyd
Sebbene alla critica specializzata si richieda inevitabilmente di impostare le proprie disamine su un metro analitico imparziale e costante, alle volte appare necessario scindere la mera qualità contenutistica di un lungometraggio, dal suo scopo finale. È proprio per questo che, se fossimo costretti a muovere un giudizio su L’esorcista del papa, usufruendo degli strumenti tecnici necessari alla stesura di una recensione, ci ritroveremmo a dover demolire l’ultimo film di Julius Avery con protagonista Russell Crowe. Tuttavia, una volta compreso l’unico vero contesto spettatoriale a cui il film aspira, ecco che i severi e implacabili appunti che gli sarebbero consoni, perdono improvvisamente il loro reale senso di esistere.
Nonostante la premessa al limite del sofismo, non ci sottrarremo alla necessaria analisi delle reali componenti del film, alle quali si deve necessariamente fare riferimento in un contesto di critica cinematografica. Il film, sulla carta ispirato alle gesta di padre Gabriele Amorth, in realtà ne interpreta con divertita fantasia l’operato, plasmando sulla figura di un carismatico Russell Crowe i lineamenti di un prete supereroe. Il terreno storico e potenzialmente realistico, su cui L’esorcista del papa sembrava affondare le proprie radici nelle sue prime apparizioni sul web, è scongiurato dopo pochi istanti, da una messa in scena (in)volontariamente grottesca.
Lo scopo di Avery non è affatto quello di fornire un’accattivante finestra su uno degli esorcismi di Amorth, ma è più semplicemente quello di porre le basi per un franchise supereroistico, in cui le doti e il fascino interpretativo di Russell Crowe ne rappresentano la spina dorsale sul piano drammaturgico. Difatti, spogliato dell’ormai noto talento del suo protagonista, il film perderebbe gran parte del suo atipico fascino, finendo per risultare un goffo tentativo di amalgamare realtà e finzione all’interno di un horror sull’esorcismo. Struttura narrativa, dialoghi, caratteristiche dei personaggi secondari e, più in generale, ogni aspetto della messa in scena che non venga direttamente influenzato dalla presenza di Crowe, ricalcano noiosamente le dinamiche dell’accoppiata horror-esorcismo, che tanto funzionavano alla fine dello scorso secolo, ma che oggi risultano stanche e prive di mordente.
L’inarrestabile susseguirsi di prevedibili cliché non lascia spazio a quello che sarebbe stato un gradito distanziamento dal seminato delle precedenti iterazioni del genere, a cui L’esorcista del papa tende senza soluzione di continuità. Il finale, noiosamente predetto dallo spettatore dopo circa venti minuti dall’inizio del film, apre con mal riposto entusiasmo alla costruzione di una vera a propria saga e ciò, francamente, è l’unica immagine che ci abbia realmente spaventato nel corso dei 103 minuti necessari a concludere questo sfortunato esperimento cinematografico.