L’inizio del cammino (Walkabout) recensione film di Nicolas Roeg con Jenny Agutter, David Gulpilil, Luc Roeg e John Meillon
Non c’è niente di meglio di un picnic sereno e tranquillo in famiglia, un padre e i suoi due figli, una sedicenne Jenny Agutter (scelta poi da John Landis per il suo Un lupo mannaro americano a Londra), e il figlioletto del cineasta stesso, Luc Roeg (interprete per puro caso vista la crescita esponenziale dei fratelli durante il progetto e la loro conseguente impossibilità del ricoprire il ruolo di un bimbo di 7 anni). Una giornata finita in tragedia, un omicidio-suicidio riuscito a metà e che è Walkabout, L’inizio del cammino, della “grande prova” (come recita il titolo del romanzo del 1959, di James Vance Marshall, dal quale è tratto il soggetto), di un viaggio formativo e inusuale nelle terre desolate dell’outback australiano, in un mondo primitivo da realismo magico, alla riscoperta di sé stessi e dell’innocenza perduta.
È un debutto alla regia fenomenale quello di Roeg, che fino a poco prima si dilettava nel fotografare film passati alla storia come il Fahrenheit 451 di Truffaut, un debutto che osa rappresentare con grandissimo coraggio la morte in ogni sua forma, con reali e crude esecuzioni di animali e rettili in nome della settima arte (dibattito etico e spinoso che divide da sempre il pubblico); il primo progetto di un cineasta che da vero maestro utilizza qualsiasi tecnica che il cinema possa offrire: sono numerose le lenti usate, i simbolismi, il montaggio intellettuale di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, come nelle scene di contrapposizione tra la caccia sportiva e la macellazione di canguri e bovini e quella di puro spirito di sopravvivenza del ragazzino aborigeno, terzo protagonista della pellicola (il ballerino e attore David Gulpilil, di etnia Yolngu, un mix tra primitivismo tribale e presente, dall’età sconosciuta, trovato per caso quasi fosse un miracolo, interprete dal naturale talento attoriale, visto poi in Mr. Crocodile Dundee (1986) e Australia (2008)), che sta intraprendendo la sua prova del fuoco, il suo viaggio interiore nella natura selvaggia alla ricerca di qualsiasi fonte di cibo, mantenendo e non ricercando la sua innocenza ed umanità, mostrata in maniera dolcissima nel rapporto interpersonale con il piccolo protagonista, come nella scena improvvisata quando dopo aver preso del sangue dalle interiora di un piccolo cinghiale scuoiato, massaggia e cura la reale scottatura sulla schiena di Luc Roeg.
È quasi impossibile non restare ammaliati dalla bellezza delle immagini, delle musiche (tra le quali spicca la sigla della serie tv Outlander, il celebre brano scozzese The Skye Boat Song, fischiettato dalla giovane protagonista), fondamentale appare la scelta delle location, l’oasi naturale che fa da giardino dell’Eden, luoghi completamente lontani e per nulla corrotti dalla civiltà occidentale e non, che predomina il resto del mondo, fatto di regole e burocrazia, dignità morale e scalate sociali, un mondo che asfissia e rende impossibile il ritorno ad una totale innocenza dell’animo umano.
Forse l’unico appunto a L’inizio del cammino potrebbe scaturire nel momento in cui le reazioni della Agutter non sembrano essere del tutto naturali, più volte appare passiva (fortunatamente non sempre) agli eventi anche tragici che le accadono, ed è protagonista di un finale veloce e che potrebbe non convincere del tutto in fatto di messa in scena, dipende dai punti vista; d’altronde Roeg è da sempre uno dei maggiori esponenti della cut-up (o fishbowling), una tecnica che prevede l’aleatorietà di alcune immagini o riprese montate in modo da riarrangiare le sequenze originali con conseguenti storylines non convenzionali dalle forme quasi semicoerenti, con un totale riallacciamento al resto del film nei suoi attimi finali, dove elementi addizionali diventano cruciali per il significato d’insieme del tutto.
Sta allo spettatore scegliere, noi ve ne consigliamo assolutamente la visione, viste le torride giornate estive che ci stanno e continueranno ad accompagnare nei prossimi mesi.