L’ombra della violenza recensione film di Nick Rowland con Cosmo Jarvis, Barry Keoghan, Niamh Algar, Ned Dennehy, David Wilmot e Liam Carney
Posso fare del male, però non c’è odio in me.
Non sono solo gli uomini malvagi ad essere violenti, a volte è un modo di dare un senso al proprio mondo.
(Cosmo Jarvis in L’ombra della violenza)
Uno degli incipit più intensi visti di recente e dal fortissimo impatto caratterizza L’ombra della violenza, anche se la scelta di frammentarlo ne depotenzia la crudezza e la drammaticità della violenza sulla quale eppure il promettente regista candidato ai BAFTA Nick Rowland indugia senza filtri.
Per la loro sensibilità e capacità unica di accogliere sia a livello fisico che psichico le emozioni umane, percependone anche la più minima perturbazione, i cavalli sono la componente più preziosa nella terapia (chiamata ippoterapia) per affrontare i disturbi dell’autismo e di chi dunque vive in un mondo speciale pensato per immagini – bici pelose le definirà il protagonista Arm – trasmettendo a chi sta sulla loro schiena una sensazione di quiete e protezione quasi materna. Da qui il titolo originale Calm with Horses, basato sul racconto breve di Colin Barrett, che perde inevitabilmente alcune sfumature nel suo adattamento italiano, L’ombra della violenza.
Un rapporto morboso, disfunzionale e distruttivo lega Dympna (Barry Keoghan, stella emergente apparsa in Dunkirk, Gli Eterni e The Batman) e Arm (Cosmo Jarvis, nel cast di Raised by Wolves), coppia che ben presto va fuori controllo, in un interessante dualismo che vede il primo diventare alla morte del padre uno dei capi clan della famiglia Devers ed ereditarne il governo sul territorio di appartenenza e sul traffico di stupefacenti, ed il secondo autentico underdog, promettente pugile dilettante ritiratosi dopo aver provocato la morte di uno sfidante sul ring, ragazzone maturato tardi, zitto e calmo – almeno sinché non scatena la sua violenza su commissione – che viene accolto da Dympna nella sua famiglia e nella sua casa, in un legame apparentemente più di schiavitù che lealtà che spinge Arm a proteggere la famiglia Devers con i rischi, i guai e i problemi della loro attività criminale.
Per i Devers il sangue non conta, significa solo che si è parenti.
É la lealtà, la lealtà ti rende una famiglia.
(Barry Keoghan in L’ombra della violenza)
Galoppino di una famiglia mafiosa alla quale non appartiene e vittima dei suoi legami distorti, Arm si ritrova invischiato in una spirale di violenza di cui è inarrestabile esecutore e che l’ha profondamente cambiato rispetto al forte e ammirato pugile Douglas Armstrong che era stato un tempo, passando dal picchiare dei drogati finché non sputano l’anima al provare a fare il padre per suo figlio, il piccolo Jack (Kiljan Moroney), affetto da autismo e al quale la madre Ursula (Niamh Algar, anche lei in Raised by Wolves) dedica tutta se stessa per cercare di migliorarne il benessere, colmando anche le mancanze di un padre assente.
Nick Rowland esplora attraverso immagini forti la crudezza della violenza che rimane e si annida dentro l’animo umano, in un crime thriller tremendamente teso capace di lasciare col fiato corto – come nella sequenza finale dell’inseguimento in automobile – potente nel ritrarre l’uomo (Fannigan, Liam Carney) che vede la morte mentre, completamente denudato come la natura lo ha messo al mondo, regge il suo pube in posizione di difesa, ultimo baluardo della sua mascolinità violata che sta per essere infranta.
Tieni, compra qualcosa di bello alla mamma, magari un po’ di allegria.
(Cosmo Jarvis in L’ombra della violenza)
Un rapporto incompiuto tra padre e figlio, con un padre inadeguato che grida la sua rabbia al figlio autistico chiedendogli di provare ad essere normale, l’estasi della violenza montata dalle aggressive musiche techno di Blanck Mass (Benjamin Power), che passano dalle liriche angoscianti di The Devers, Jack’s Theme e Sleepless alle allucinazioni ritmiche di Different Breed e a brani più morbidi come Leaving, e quelle mani di pugile escoriate e sporche di sangue, violenza ed irrequietezza, sulle quali le immagini più volte indugiano, dense di significati perché attraverso di esse il protagonista si è espresso per tutta la vita, afflitto dal senso di colpa per non essere riuscito a renderle più fruttuose, lasciando così a mani vuote la sua famiglia a cui non è riuscito mai a dare niente.
Nuovo potenziale cult che condivide alcune sfumature con Drive di Nicolas Winding Refn, L’ombra della violenza – Calm with Horses è ammirevole nel non cadere nei luoghi comuni della faida familiare e nel mostrare finalmente come la redenzione non sia sempre possibile, interrogandosi sulle conseguenze ineluttabili delle scelte nelle quali perseveriamo, su ciò che pensiamo di meritare e sulle aspettative che nutriamo per noi stessi.
– Tu meriti di meglio.
– Tutti meritano di meglio.
– Forse invece dovrebbe essere proprio il contrario.
(Cosmo Jarvis e Niamh Algar in L’ombra della violenza)