L’ultimo paradiso recensione film di Rocco Ricciardulli con Riccardo Scamarcio, Gaia Bermani Amaral, Antonio Gerardi, Valentina Cervi, Mimmo Mignemi, Nicoletta Carbonara e Federica Torchetti
Ci vuole pure cuxo a nascere…
(L’ultimo paradiso)
Ispirato ad una vera storia d’amore, passionale ed anarchica, accaduta negli Anni ’50 in un Sud Italia aspro e oppresso dalle ingiustizie, proposta da Rocco Ricciardulli (autore del soggetto) a Riccardo Scamarcio i quali hanno poi fatto coppia nel riscrivere insieme la sceneggiatura, L’ultimo paradiso ruota attorno al valore dell’identità e delle radici, tra desiderio di emancipazione e senso di appartenenza verso un mondo che non sia più fatto solo di rassegnazione e speranza.
Ciccio Paradiso (Riccardo Scamarcio) sogna di cambiare la propria condizione e di realizzare i suoi sogni andando in un altro mondo, in compagnia della sua amata Bianca (Gaia Bermani Amaral), che sembra avergli fatto dimenticare le scappatelle con le altre, oltre che la moglie e madre di loro figlio Lucia (Valentina Cervi).
Tu devi pensare alla tua famiglia, non ai caxxi degli altri!
(L’ultimo paradiso)
Abili caratteristi, come il lucano Antonio Gerardi nei panni di Cumpà Schettino ed il siciliano Mimmo Mignemi nei panni di Don Luigi, ci calano nell’Italia meridionale schiava dei latifondi e delle loro ricche famiglie, tra oppressione e corruzione, ingiustizie ed abusi, violenza ed omertà.
Film originale Netflix acquisito in associazione con Mediaset e prodotto da Lebowski e Silver Productions, nella splendida cornice di una murgia tra Puglia e Basilicata L’ultimo paradiso ha nei suoi intenti esaltare la nobiltà del contadino che ha bisogno di sognare, persino desideri irrealizzabili, anziché indugiare sulla irrimediabilità della propria condizione.
In questa casa non manca niente: tengo una bugiarda e una butxxna.
(Antonio Gerardi ne L’ultimo paradiso)
Il contesto tuttavia non è caratterizzato come ci si attenderebbe, più aggrappato al dialetto parlato di Riccardo Scamarcio che non alle sequenze didascaliche proposte incapaci di montare l’opportuna ambientazione, non dipingendo in maniera vivida i legami familiari, la vita della comunità, le fazioni e i contrasti, ossia tutti quegli elementi in grado di avvolgere lo spettatore tra le trame del racconto.
Anche la storia d’amore tra Ciccio e Bianca appare più adolescenziale che memorabile, più passionale che profonda, con la conseguenza che è proprio lo scoppio della faida tra Cumpà Schettino e Ciccio, tra un padre padrone e un marito e padre fedifrago, a reggere la narrazione, non il contesto storico, non il grido d’emancipazione, non la lotta di classe ed il moto di cambiare la propria terra che nell’opera di Rocco Ricciardulli appaiono sbiaditi.
Chi semina spine non può camminare scalzo.
(Antonio Gerardi ne L’ultimo paradiso)
Il colpo di scena alla metà del racconto, brutale ed inatteso, salva la narrazione dal vicolo cieco verso la quale è diretta, con la speranza di aprire nuovi scenari e mettendo a nudo la sofferenza della donna sottomessa, se non abusata, e senza via di fuga – se c’è un amico tuo, quello che dici tu, io me lo sposo, affermerà in lacrime la sorella di Ciccio interpretata da Nicoletta Carbonara.
Scenari che tuttavia non si concretizzano, con L’ultimo paradiso che ruota fino alla sua conclusione attorno a quel desiderio di speranza, più volte richiamato a parole dai protagonisti ma scarsamente plasmato con emozioni e gesti dall’opera, che può essere un’arma a doppio taglio per chi non possiede niente e non ha più nulla in cui credere, soprattutto in una Terra amara e priva di opportunità in cui chi sbaglia paga.