La cocina recensione film di Alfonso Ruizpalacios con Raul Briones Carmona, Rooney Mara e Anna Diaz [Berlinale 2024]
di Giovanni Pesaresi
La cocina, in concorso alla Berlinale 2024 e tratto dalla commedia omonima di Arnold Wesker, si sviluppa all’interno di una tavola calda di Manhattan dove si intrecciano i destini e le vite del personale che lavora, in gran parte immigrati.
Uno dei cuochi, il messicano Pedro, si innamora di una cameriera del ristorante ma quando viene accusato di aver rubato dei soldi dalla cassa, la situazione si complica fino al precipitare degli eventi.
È grazie a una sicura consapevolezza dei propri mezzi che Alfonso Ruizpalacios – tra i più promettenti autori del panorama cinematografico messicano e già premiato a Berlino con l’Orso d’argento – dipinge la sua cocina oscillando tra un credibile realismo e ricercato lirismo, tra piani sequenza muscolari e primi piani delicati, in particolare quelli dei volti femminili.
Grazie a un bianco e nero forse un po’ arbitrario ma davvero bello da vedere – firmato da Juan Pablo Ramirez – e a una regia sempre ragionata ma al contempo virtuosa, nonostante il ritmo frenetico e incessante del ristorante, in alcune scene il tempo sembra dilatarsi, trasformando istanti di grigia quotidianità in piccoli gioielli estetici e concettuali.
Così, in quella che è una delle sequenze più interessanti dell’intera pellicola, nella sorte scontata degli astici immersi in una vasca d’acquario e destinati alla tavola di un ricco cliente, si riflette il destino dei protagonisti confinati nella loro condizione di clandestinità forzata, ad essere semplice forza lavoro al servizio di altri più in alto nella scala sociale, meri ingranaggi di un meccanismo che dall’interno non sono in grado di vedere.
La cucina diventa dunque contenitore del rapporto conflittuale tra classi, delle gerarchie inestricabili e delle pericolose asimmetrie dell’America di oggi. Quella raccontata da Ruizpalacios è una vera cucina da incubo, una cucina kafkiana come l’America di sognatori e di dispersi descritta dallo scrittore praghese nel suo primo romanzo.
Uno sguardo doloroso dietro le quinte della quotidianità americana, un oscuro microcosmo eclissato da un mondo – quello della sala – che è tanto attraente e luccicante quanto ingannevole e superficiale, attraente e respingente al contempo.
Insomma, al suo primo film girato negli Stati Uniti dopo tre lungometraggi prodotti nella terra natia, Ruizpalacios non delude, trovando solide conferme anche dal cast.
Oltre alla performance compiaciutamente stanislavskiana e forse un po’ sovrabbondante del messicano Raul Briones Carmona, spicca Rooney Mara (già candidata in precedenza a Oscar, Golden Globe e Bafta), che con una sicurezza da vera stella riesce a rendere la sua parte più grande di quella che è.
Forse l’approccio a tratti accentuatamente raffinato della regia – tra un piano sequenza aggressivo e interminabile e il generale manieristico, sofisticato dinamismo con cui Ruizpalacios esplora lo spazio che si articola nel ristorante – non è sempre accompagnato da una scrittura all’altezza, con il parlato che alle volte può risultare un po´ prolisso e persino ridondante.
In questo senso l’opera perde un po’ in potenza e il forte messaggio finisce per diluirsi fin troppo nelle quasi due ore e mezza di durata del film.
Ma il senso generale rimane: dietro una sala di ricchi e di privilegiati, c’è sempre una cucina di poveri e di disperati.