La direttrice recensione serie TV Netflix di Amanda Peet e Annie Wyman con Sandra Oh, Jay Duplass, Holland Taylor, Bob Balaban, Nana Mensah, David Morse e Everly Carganilla
Arriva su Netflix La direttrice – The Chair, serie che in sei episodi di circa trenta minuti l’uno racconta la storia di Ji-Yoon Kim (Sandra Oh) la nuova direttrice del dipartimento di inglese della Pembroke University. Single e con una figlia adottiva, Ji-Yoon vorrebbe risollevare le sorti del dipartimento, con sempre meno iscrizioni, portando una ventata di progressismo. Presto però capirà che anche con tutte le buone intenzioni non sarà affatto semplice gestire un sistema più grande di lei.
Sin dal primo giorno d’incarico, Ji-Yoon si ritroverà infatti ad affrontare i più disparati problemi. Tra questi l’accusa di nazismo a Bill Dobson, interpretato da Jay Duplass, professore un tempo amato dagli studenti ma caduto in depressione dopo la perdita della moglie; l’anzianità dei professori “dinosauri” dell’università, i cui programmi sono ormai troppo datati per i tempi moderni; il trattamento ingiusto riservato alla Professoressa Yaz McKay (Nana Mensah) solo perché giovane e nera e il trasferimento in uno sgabuzzino dell’ufficio della professoressa Joan Hambling (Holland Taylor), che non ha mai fatto carriera perché ai suoi tempi unica donna in un ambiente maschile. Per cercare di accontentare tutti Ji-Yoon entrerà in un vortice da cui sarà impossibile venirne fuori senza pagarne un caro prezzo.
La direttrice è promossa
Dopo Killing Eve, Sandra Oh torna a vestire i panni di un altro personaggio problematico e contradditorio, che vuole cambiare il sistema poco meritocratico dell’università ma che allo stesso tempo non si impone per raggiungere il suo obiettivo, perché a differenza degli uomini, a cui è concesso essere autoritari e a volte anche tiranni, le donne devono essere sempre diplomatiche. La frase che pronuncia Ji-Yoon “Mi sento come se qualcuno mi avesse passato una bomba ad orologeria perché voleva assicurarsi che una donna la tenesse in mano quando esplode” riassume bene cosa sta vivendo il personaggio e cosa vivono tutte le donne che si trovano a ricoprire delle posizioni dirigenziali quando la barca sta già affondando e ogni mossa sembra essere quella sbagliata (ricordiamo il caso Yahoo).
Che la serie sia stata scritta a quattro mani da due donne, Amanda Peet e Annie Julia Wyman è nettamente percepibile per la sua aderenza al reale, e il messaggio che arriva al pubblico è chiaro: dietro la parvenza di modernità e uguaglianza della nomina di una donna, per di più appartenente a una minoranza, si nasconde un sistema che invece non cambierà mai. Il sistema universitario è infatti rappresentato come un sistema chiuso, poco inclusivo, non aggiornato, in cui avviene lo scontro generazionale tra professori rimasti fermi nel passato e alunni che reclamano insegnamenti al passo coi tempi.
Questa rappresentazione critica e purtroppo veritiera del mondo accademico, affrontata con ironia, citazioni letterarie e situazioni divertenti è senz’altro il fulcro della serie, che tramite la comicità vuole far riflettere su più temi come il patriarcato, l’ageism, l’adozione e la cancel culture. Il voler affrontare così tanti temi da pregio si trasforma però in difetto, poiché i 180 minuti dei sei episodi non sono sufficienti per trattare adeguatamente tutti i contenuti narrativi. Forse con un’eventuale seconda stagione, la questione si risolverebbe.
Una nota di merito finale va fatta a Holland Taylor, che dopo Hollywood vince il ruolo migliore della serie. Sebbene la protagonista sia incontrovertibilmente Sandra Oh, a cui dopo anni di gavetta finalmente non si affidano più solo ruoli da personaggio secondario, Ji-Yoon dovrà farsi un po’ rubare la scena dalla professoressa Hambling. Joan, amante di Chaucer e impedita con la tecnologia in un modo universitario ormai digitale, è senza dubbio il personaggio più comico di tutta la serie, alle cui battute sarà difficile non sorridere.