La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra recensione serie TV Netflix di Rachel Ramras, Hugh Davidson e Larry Dorf con Kristen Bell, Michael Ealy, Tom Riley, Shelley Hennig e Cameron Britton
Non è cane. Non è lupo. Sa soltanto quello che non è. Se solo capisse quello che è.
(Balto di Simon Wells, 1995)
A volte ci capita di guardare il trailer di un film o di una serie TV e la nostra prima reazione è: “Interessante, mi piacerebbe vederlo.” Oppure: “Sembra molto carino, sarà sicuramente un prodotto buono“. O ancora, infine: “Questa serie sembra avere delle grandi potenzialità, già dal suo trailer“. E sinceramente è un’impressione che molti potrebbero anche condividere guardando il trailer de La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra, una miniserie lanciata dalla piattaforma di streaming Netflix alla fine di gennaio.
Questa miniserie, creata da Rachel Ramras, Hugh Davidson e Larry Dorf sembrerebbe davvero un prodotto molto carino: siamo di fronte a una donna separata (interpretata da Kristen Bell, nota ai più per essere la protagonista di Veronica Mars e la voce narrante di Gossip Girl), colpita e traviata da sentimenti negativi (ansia, depressione ed una logorante elaborazione di un lutto) che lotta con i demoni dell’alcolismo e che si trova ad assistere ad eventi poco spiegabili, che restano sospesi a metà tra realtà e fantasia. L’evento scatenante è una nuova coppia di vicini che, per l’appunto, si trasferisce nella casa di fronte a quella della donna, creando una situazione che potrebbe richiamare per certi versi quella de La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock.
Sembrerebbero davvero tutti ingredienti perfetti per un buon prodotto, e l’inizio sembra persino promettente. Tuttavia ci accorgiamo subito che qualcosa non va. E che man mano che la storia procede l’impianto diventa sempre meno interessante e sempre più opinabile.
La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra – Perché la “sindrome di Balto”?
Con le premesse appena fatte, dunque, ci sembra comunque corretto giustificare il perché di questa “sindrome di Balto”. Questa miniserie, che rischia di essere riconfermata per una seconda stagione (ma considerata la facilità con la quale Netflix cancella le serie TV potrebbe non vedere mai la luce) purtroppo sa una cosa per certo: ciò che non è, un po’ come il famoso Balto dell’omonimo film animato.
La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra, infatti, potrebbe essere stata creata per essere un geniale mix di opera drammatica, weird, thriller, giallo e con un tocco di commedia nera dissacrante e fortemente umoristica. Peccato che queste belle idee vengano tutte presto disattese. Non riesce, infatti, ad essere un’opera pienamente drammatica poiché i momenti seri vengono puntualmente interrotti da trovate grottesche potenzialmente interessanti ma che finiscono alla lunga per risultare fiacche e banali.
Prova ad essere un’opera grottesca, ma riuscendo soltanto limitatamente a sfruttare le immani potenzialità che il genere weird può offrire: anche in questo caso spesso si sfocia nel banale. Ha un discreto impianto come thriller e come giallo, con continui colpi di scena che dovrebbero rendere la vicenda avvincente, entusiasmante. Ma anche qui, alla lunga, tutti i colpi di scena rischiano di essere ripetitivi e scontati, si ha sempre la costante sensazione che sia tutto già visto, trito e ritrito nell’oceano della serialità. Allora potremmo dire che è una parodia, uno sbeffeggiamento di tutti questi stilemi. Ma anche qui, questa miniserie non trova mai la via maestra per definire la propria natura: abbiamo sempre il dubbio se si faccia sul serio, se non si faccia affatto sul serio o se ci si impegni inutilmente per un equilibrio tra queste due componenti mai ben raggiunto. Infine, ma non per ultimo, questa serie vorrebbe essere divertente: vorrebbe far ridere, ma non ci riesce, vorrebbe utilizzare dell’humour nero ma non colpisce mai il suo obiettivo (e di dark comedy ben fatte o fatte meglio il mondo della serialità è pieno, basti pensare solo a Six Feet Under o Nip/Tuck. E a volte più del riso ciò che viene stimolato nello spettatore è solo un bagliore di perplessità.
Basare interamente il cast su Kristen Bell? Un errore
Kristen Bell, che vanta un curriculum vitae attoriale non eccezionale ma comunque rispettabile, ha dovuto caricare sulle sue spalle un compito abbastanza gravoso: vale a dire far ruotare attorno alla sua performance ed alla sua interpretazione quasi tutto lo show.
Un compito decisamente non alla portata di tutti e, per carità, Kristen Bell ci si impegna pure, regalando anche alcuni momenti interessanti (come alcuni monologhi sopra la media degli altri dialoghi oppure il rapporto complicato con l’ombrofobia, la paura della pioggia da cui il suo personaggio è afflitto). Ma un personaggio così complicato (e tutto sommato a tratti scritto male dagli autori) avrebbe dovuto forse essere sviluppato e sfaccettato meglio, poiché quello cui assistiamo è spesso il manifestarsi di una maniacalità stereotipata e di maniera, che coglie soltanto l’aspetto superficiale di tematiche che andrebbero affrontate in modo molto più scrupoloso. E il resto del cast? Praticamente evanescente.
Tom Riley, noto principalmente per aver interpretato Leonardo da Vinci nella serie televisiva Da Vinci’s Demons, è in pratica meno di un comprimario. Il suo ruolo è meramente funzionale a quello della protagonista e poteva essere ricoperto praticamente da chiunque. Assolutamente sprecato a un ruolo praticamente “inutile” Cameron Britton, attore emergente e di talento già visto in altre serie TV come Mindhunter o Manhunt: Deadly Games, alle prese con ruoli di tutto rispetto e qui mera parodia di se stesso. Il resto del cast, purtroppo, ha lo stesso valore di mere comparsate.
Un esperimento fallito
La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra si rivela dunque di un esperimento fallito: la sua sopravvivenza su Netflix dipenderà, molto probabilmente, dal numero di visioni totali che farà sulla piattaforma.
Ed è un peccato, perché le idee alla base potevano anche essere buone, se sfruttate nel modo più consono.
Ma la serialità attuale sempre più curata e sempre più ben confezionata impone degli standard parecchio più elevati. Che qui, e ci spiace dirlo in maniera così lapidaria, non vengono neanche avvicinati.