La famiglia Addams 2 recensione film di Greg Tiernan e Conrad Vernon con le voci di Virginia Raffaele, Pino Insegno, Eleonora Gaggero e Loredana Bertè
L’elisir che il cinema ha messo a punto per arginare l’avanzata inesorabile del tempo si chiama franchise. Come le pietre miliari che scandivano le distanze delle antiche reti stradali, ci sono storie che rassicurano ciclicamente il pubblico tornando a galla in vesti cucite adeguatamente sul contesto storico in cui vengono proposte. Prendete Indiana Jones oppure Harry Potter se preferite, sono tantissimi gli esempi di mondi le cui coordinate sono diventate sinonimo di garanzia e riconoscibilità per un pubblico transnazionale.
Anche per questo in sala arriva La famiglia Addams 2, secondo capitolo della trasposizione animata dedicata ai personaggi di Charles Addams e nuova variazione sul tema della famiglia più macabra mai conosciuta.
Dopo il successo al botteghino del film del 2019, sarebbe stato strano interrompere un’operazione con un terreno arato e sistemato a dovere senza testarne gli effettivi limiti. Le avventure di Gomez, Mercoledì, Morticia, Pugsley funzionano alla perfezione infatti nell’immaginario spettrale e tenebroso che li contiene e incorporano senza sforzo tutta una serie di discorsi sulla diversità con cui il pubblico giovanissimo non è mai stato così in contatto. Ma nel mondo reale?
Al di là del tono teen e della chiave comica, La famiglia Addams 2 mette alla prova un gruppo di personaggi al di fuori del proprio contesto naturale, utilizzando il topos del viaggio per cercare di operare una sottile riflessione sul significato di concetti come famiglia e appartenenza. Conrad Vernon e Greg Tiernan hanno lavorato sulla dimensione relazionale senza perdere di vista il divertimento, garantito dalla moltitudine di personaggi pronti ad esplodere – anche letteralmente grazie a Pugsley – lungo tutto l’arco narrativo.
Provando a dimenticare per un attimo di essere completamente fuori dal target di riferimento del film, il risultato che ne viene fuori è curioso ma non memorabile, forse non avendo la necessità e l’urgenza di averne ancora. La quota di risate, gag e riflessioni edulcorate è assicurata da una scrittura certosina in completa sintonia con il patrimonio del franchise anche in versione animata. Manca però un guizzo, un sussulto per non lasciar cadere tutto nel vuoto con lo scorrere dei titoli di coda e non possono sicuramente essere le voci di Loredana Bertè o Luciano Spinelli. Anche perché, con molta probabilità, tra cinquant’anni potrebbe essere presentato il reboot, il ventesimo sequel del franchise, lo straordinario spin-off di una storia che sotterrerà questa recensione e chi la scrive con lo stesso sinistro motivetto.