La mia banda suona il pop recensione film di Fausto Brizzi con Christian De Sica, Massimo Ghini, Angela Finocchiaro, Paolo Rossi e Diego Abatantuono
In un periodo di revival, nel quale le atmosfere vintage la fanno da padrone, poteva mancare un film sulla réunion di una vecchia band? È proprio questo che fa Fausto Brizzi nel suo La mia banda suona il pop, distribuito da Medusa.
Franco (Diego Abatantuono) è un manager musicale che ha avuto il suo periodo d’oro negli anni Ottanta. Un magnate russo richiede una delle sue band per festeggiare il compleanno: i Popcorn, finiti nel dimenticatoio dopo aver avuto un grande successo negli anni Ottanta, con i suoi membri ormai impegnati in attività molto lontane dalla musica. Tony (Christian De Sica) cerca ancora di sbarcare il lunario, partecipando ad un programma per le vecchie star; Lucky (Massimo Ghini) gestisce un negozio di ferramenta insieme alla moglie; Micky (Angela Finocchiaro) è un’alcolista cacciata dal programma di cucina che conduceva; Jerry (Paolo Rossi) si è ridotto a suonare per strada.
I quattro, dopo un momento di esitazione, accettano l’incarico e volano a San Pietroburgo, dove troveranno anche Olga (Natasha Stefanenko), l’assistente di Ivanov (Rinat Khismatouline), il magnate russo che li ha ingaggiati.
I Popcorn trovano nuovamente l’affiatamento, nonostante vecchie ruggini e tradimenti. I componenti della band scopriranno presto che, dietro al loro ingaggio, si nasconde un piano ben congeniato e che la loro esibizione non è altro che un’esca per qualcosa di più grosso.
Il regista Fausto Brizzi ritrova Christian De Sica alla terza collaborazione, dopo la serie Poveri ma ricchi, in una commedia d’azione, sullo sfondo musicale della réunion di una vecchia band anni Ottanta, che tanto ci fa pensare a gruppi come i Ricchi e Poveri.
La mia banda suona il pop si caratterizza per la cura nella costruzione di una storia che possa sembrare realistica: i Popcorn entrano nell’immaginario dello spettatore al quale sembra quasi di “ricordarli” e “conoscerli”, nonostante siano un prodotto dell’immaginazione del regista. La pellicola richiama molto gli aspetti tipici della musica italiana degli anni Ottanta, con rimandi e citazioni ad artisti come Scialpi, Gianni Morandi e Albano e Romina.
Gli anni Ottanta sono stati costellati da musicisti che si sono rivelati delle vere e proprie meteore, ed è proprio su questo tema che Brizzi costruisce il suo ultimo lavoro.
L’opera di Brizzi mescola la comicità alla romana tipica di De Sica a quella “nordica” di Rossi e della Finocchiaro con l’intento di divertire, tuttavia l’eccesso di ironia e la tendenza a strafare per tirare fuori la battuta, anche in modo volgare, risultano fastidiosi per lo spettatore che si ritrova di fronte a battute già sentite e risentite nei cinepanettoni, in un contesto surreale che riprende il trend nostalgico degli ultimi anni.
Nonostante qualche risata strappata dai personaggi interpretati da De Sica e Ghini e la presenza della Finocchiaro, che risalta in questo cast, il film non convince molto, rivelandosi la solita commedia degli equivoci, marchiata da una comicità spinta sbattuta in faccia allo spettatore: non ci sono sottintesi o battute velate, si cerca di suscitare la risata facile, quantomeno di quegli spettatori che apprezzano il genere.
L’idea di base è apprezzabile, specialmente a distanza ravvicinata da un’edizione del Festival di Sanremo votata alla nostalgia, viste le esibizioni di Albano e Romina e la réunion dei Ricchi e Poveri, le buone intenzioni tuttavia si esauriscono in una narrazione inconcludente e senza spessore che si perde in un epilogo poco convincente, utilizzando i soliti espedienti triti e ritriti all’insegna dell’intrattenimento nella sua forma più semplice.
Lodevole la colonna sonora originale, edita da Bruno Zambrini, che rappresenta uno dei pochi punti di forza della pellicola, grazie a canzoni che rimangono in testa allo spettatore proprio come i tormentoni autentici degli anni Ottanta.