La notte più lunga dell’anno recensione film di Simone Aleandri con Ambra Angiolini, Massimo Popolizio, Anna Ammirati, Luigi Fedele e Francesco Di Napoli
Certe notti sono fatte per la tortura, o la riflessione, o il sapore di solitudine.
(Poppy Z. Brite, La notte più lunga dell’anno)
Presentato alla 39esima edizione del Torino Film Festival, La notte più lunga dell’anno è interpretato da Ambra Angiolini, Luigi Fedele, Massimo Popolizio, Mimmo Mignemi e Francesco Di Napoli. Il lungometraggio, distribuito da Vision Distribution, è il primo diretto da Simone Aleandri che mette da parte la direzione dei documentari (tra i quali Viva Sarajevo o Tre volte a Gerusalemme entrambi del 2012) per dedicarsi alle opere di finzione, con il supporto nella sceneggiatura di Andrea Di Consoli e Cristina Borsatti.
La narrazione si compie durante la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno tra il 21 e il 22 di dicembre, in una piccola città di provincia, nella quale si intrecciano quattro vicende personali durante quindici ore di buio ininterrotto in cui il destino umano si fa eccezionale.
Una notte di decisioni
La notte è la velata protagonista di quest’opera, la notte più lunga, quella dove tutto può accadere. Qui la notte si trasforma e diventa un forte simbolo: è al contempo una gabbia e grande libertà, copre i paesaggi, toglie elementi, svela quello che apparentemente sembra immobile, è passione, malinconia, solitudine, è riflessione ma anche quel mantello silenzioso che riesce ad avvolgerti con estrema delicatezza. È proprio qui che la pellicola raggiunge il suo massimo potenziale.
La notte più lunga dell’anno è un film realistico, emotivo e squisitamente umano. La notte del solstizio d’inverno è la notte di svolta e di grandi decisioni per i nostri protagonisti ma lo è anche per lo spettatore nel mentre osserva sullo schermo lo sciogliersi della matassa di racconti, “storie intense che mettono al centro l’umanità dei personaggi, profonda e alimentata dalla malinconia e dalla solitudine”, come afferma Simone Aleandri.
Il regista non vuole narrare degli errori quanto delle loro conseguenze, sfrutta quella lunga notte come momento spazio-temporale, rendendolo simbolo del ricordo, del futuro, della transizione e infine del cambiamento.
La splendida città di Potenza, abilmente ripresa, diventa così crocevia di storie, anime, segreti ed emozioni.
Ottima la regia di esordio nella finzione di Simone Aleandri, splendidamente ricercata nelle riprese dall’alto, nelle armoniose simmetrie e nel profondo simbolismo dato ad alcuni luoghi che fanno da sfondo alla pellicola.
La notte più lunga dell’anno è un film dall’ottimo potenziale, splendidamente italiano nei suoi stereotipi, che sfortunatamente scivola nel voler forse dimostrare troppo: una recitazione ostentata, ritmi dissonanti, ossessiva ricerca dell’emotività e una scrittura un po’ troppo artificiosa e controllata rischiano di smarrire lo spettatore verso l’epilogo.