La padrina – Parigi ha una nuova regina recensione film di Jean-Paul Salomé con Isabelle Huppert, Hippolyte Girardot, Farida Ouchani e Liliane Rovère
Arriva nelle sale cinematografiche italiane La padrina – Parigi ha una nuova regina, film del 2020 diretto da Jean-Paul Salomé e con protagonisti Isabelle Huppert e Hippolyte Girardot. La pellicola è tratta dal romanzo La Daronne, della scrittrice francese Hannelore Cayre e racconta la storia di Patience (Isabelle Huppert), una traduttrice franco-araba specializzata in intercettazioni telefoniche per la squadra antidroga. Quando la donna – durante un’intercettazione – scopre che il figlio dell’infermiera che si prende cura di sua madre è coinvolto nel traffico di un grande carico di hashish in arrivo dal Marocco, usa le sue abilità linguistiche e l’innata astuzia per deviare il carico e coprire il giovane.
Questa decisione la porta – per una serie di bizzarri eventi – a diventare la proprietaria di una grossa partita di droga. A questo punto Patience sfrutterà le sue conoscenze giudiziarie – e in particolare la relazione con il suo capo – per intessere una propria rete criminale sotto il nome di Mama Weed.
Patience si presenta come una donna affascinante e sicura di sé, ma dall’aria malinconica, che guarda al passato. La donna ha avuto un’infanzia all’insegna dell’avventura – e al limite della legalità – in compagnia dei suoi genitori, mentre la vita da adulta non sembra soddisfarla appieno: vedova da molti anni, due figlie ormai grandi, una relazione priva di passione con il suo capo. Ad accrescere la sua insoddisfazione è una situazione economica non entusiasmante. La madre (Liliane Rovère) è infatti ricoverata in una casa di cura esclusiva, ed il costo è davvero dispendioso, così – in ritardo di qualche mensilità – Patience è costretta a trovarle un’altra sistemazione, sotto gli sguardi giudicanti dei responsabili della struttura.
Per tutti questi motivi, quando la donna si ritrova tra le mani l’occasione di aumentare le sue finanze e mettere un po’ di pepe nella sua vita, non se la lascia sfuggire, sfruttando la sua perfetta padronanza della lingua araba e la relazione amorosa con il suo superiore (Hippolyte Girardot). Patience scivolerà senza sforzi né rimorsi nell’illegalità, diventando “La padrina”, la donna più ricercata dalla polizia.
Isabelle Huppert protagonista indiscussa
La trasformazione di Patience in Mama Weed accelera la narrazione e, nella sua assurdità, regala un aspetto totalmente nuovo della protagonista, che fa il suo ingresso in scena avvolta in una abaya nera, con i capelli raccolti in un foulard colorato e gli occhi nascosti da un paio di enormi occhialoni.
Il film sembra alternare il cinema d’autore a pellicole pensate per il grande pubblico, difficilmente catalogabile tra i generi, in bilico tra commedia e film d’azione.
Isabelle Huppert è la protagonista assoluta della pellicola. L’attrice dimostra di possedere un incredibile potenziale comico, dando vita ad una protagonista ironica, colma di sfumature e di ambiguità, che in un certo senso giustificano le sua azioni.
Se il personaggio di Patience è sicuramente il più riuscito e coinvolgente, risultano abbastanza interessanti anche alcuni altri personaggi, come due giovani spacciatori, clienti della padrina, un po’ tonti e intimoriti dall’affascinante autorevolezza della donna.
Un altro personaggio ad essere ben delineato è quello di Philippe, capo della squadra antidroga e interesse amoroso di Patience. Hippolyte Girardot è del tutto credibile nel ruolo di un comandante che è allo stesso tempo autoritario con i suoi uomini, ma ingenuo e manipolabile da questa donna, alla quale racconta, senza porsi troppe domande, tutti gli sviluppi delle indagini.
Personaggi in cerca d’autore
Per quanto frizzante, la commedia dedica poco spazio alla moltitudine di personaggi secondari presenti al suo interno, condannati, infine, ad essere delle semplici caricature.
Ad esempio, la motivazione che sta alla base del nuovo entusiasmante impiego di Patience, è inizialmente quella di voler coprire il figlio di Kadidja (Farida Ouchani), l’infermiera che si prende cura di sua madre, malata di Alzheimer. Sarebbe stato probabilmente più interessante se un gesto così forte da parte della protagonista, fosse stato accompagnato da una relazione più profonda tra lei e Kadidja o tra Kadidja e sua madre. Al contrario la donna appare solo brevemente in poche sequenze.
Un altro personaggio che avrebbe meritato più spazio all’interno della pellicola, e anche una maggiore caratterizzazione, è quello di Colette Fo (Nadja Nguyen), amministratrice condominiale a capo di una sorta di associazione criminale di stampo matriarcale, con la quale Patience crea una bizzarra alleanza. Madame Fo avrebbe potuto essere un personaggio davvero interessante, la donna ha infatti non pochi segreti e assi tra le maniche, per questo motivo è un vero peccato che sia stato così poco approfondito e destinato ad essere una macchietta al fianco della protagonista.
Impegno sociale appena accennato
Durante la visione del film, è possibile notare l’intento del regista Jean-Paul Salomé nel voler andare oltre la commedia e cercare di trattare – seppure approssimativamente – alcuni temi di interesse sociale, come la velata denuncia del trattamento all’interno delle carceri parigine, riscontrabile nella reazione inorridita di Patience davanti alla violenza con cui vengono trattati i giovani sospettati – perlopiù di origine nordafricana – da parte delle forze dell’ordine. Un’altra scena di forte impatto emotivo è l’assoluta apatia con cui i responsabili della casa di cura dove risiede la mamma di Patience, scaricano la donna – gravemente malata – nel momento del mancato pagamento della struttura.
È difficile affermare con certezza se la volontà da parte del regista di mostrare un punto di vista multiculturale e femminista si muove più sul lato dell’ironia o più su quello delle buone intenzioni e della lotta ai pregiudizi. In ogni caso, seppur con i suoi difetti, La padrina, non manca di piccoli momenti altamente divertenti, di cui si ha molto bisogno di questi tempi.