La Petite recensione film di Guillaume Nicloux con Fabrice Luchini e Mara Taquin [Anteprima]
di Gaia Laurendi
Un anziano vedovo viene informato della prematura scomparsa del figlio Emmanuel e del suo fidanzato Joachim in un incidente aereo.
Durante il processo di elaborazione del lutto, reso più difficile dalle paranoie di sua figlia e dalla rabbia dei genitori di Joachim, Joseph si troverà a confrontarsi con una figura cruciale: la madre surrogata che avrebbe dovuto affidare suo figlio ai ragazzi scomparsi.
Inizia così un viaggio che lo condurrà a conoscere la caparbia e forte Rita, nonché a comprendere il suo nuovo ruolo di nonno, ricordando al contempo quello di padre.
La Petite di Guillaume Nicloux è un dramma familiare ambientato tra Francia e Belgio. I temi e gli argomenti trattati sono profondi e significativi per la società di oggi sempre in cambiamento; al tempo stesso è una fiaba moderna che rende quasi impercettibile il peso degli argomenti di cui narra.
Joseph (Fabrice Luchini) vive in una casa di campagna e sente di vivere gli ultimi anni della sua vita. Conduce i suoi giorni nel silenzio, restaurando oggetti di grande valore artistico e trattandoli come se fossero delle persone.
Improvvisamente la sua quiete viene travolta da un evento tragico: la perdita del figlio e del compagno, entrambi in attesa di accogliere un bambino tramite una madre surrogata, ed ora rimasto senza genitori adottivi.
Assistiamo quindi all’iniziale disorientamento del protagonista che deve fare i conti non solo con la durissima elaborazione di un lutto così importante, ma anche con tutte le persone che lo circondano: la figlia (Maud Wyler) che ha sempre sofferto un grande senso di inferiorità rispetto al fratello e i genitori di Joachim, che tentano di trasformare la morte della coppia in un’aggressiva battaglia legale
Nel tentativo di fuggire da questo caos, la ragione di vita del protagonista diventa una spasmodica e quasi entusiasta opera di convincimento della madre surrogata (Mara Taquin) ad affidare a lui la bambina che sta per nascere. Il carattere forte della giovane si scontra con quello pacifico e rassegnato dell’anziano, mentre entrambi imparano qualcosa l’uno dall’altra. Cercheranno, insieme, di raccogliere ciò che resta sotto il loro controllo ed elaborare ciò che riserva il futuro per loro.
Luchini riesce ad infondere nel suo personaggio la dualità che serve per empatizzare con lui: un uomo stanco della sua vita che, finalmente, rinasce.
Riusciamo a percepire il senso di colpa del padre che si rammarica per aver passato la vita a litigare con il figlio, con il quale non potrà più riappacificarsi. Dunque, tenterà di farlo tramite l’amore che vuole donare alla nascitura, unico collegamento che gli rimane con Emmanuel.
Il delicatissimo tema della maternità surrogata si mescola al concetto di lutto, tramite una narrazione spedita e breve (il film dura solo un’ora e mezza) donando un senso quasi fiabesco al viaggio di Joseph.
Ognuno affronta il dolore a modo suo, e questo si evince nel racconto: c’è chi è passivo di fronte alla sofferenza e chi prova rabbia. Joseph, invece, decide di attivarsi per sentire delle emozioni che pensa di non aver mai provato, e s’imbarca di nuovo nell’esperienza da nonno (e papà).
Un film che racconta un percorso di redenzione, in cui il vecchio padre cerca di star vicino come non mai a suo figlio su un piano che trascende quello terrestre: tramite la nuova vita della sua nipotina.