La ragazza con il braccialetto recensione film di Stéphane Demoustier con Roschdy Zem, Melissa Guers, Anaïs Demoustier e Chiara Mastroianni
Presentato in Piazza Grande al Festival di Locarno e vincitore del Premio César per la miglior sceneggiatura non originale, La ragazza con il braccialetto (La Fille Au Bracelet) racconta il processo di Lise (Melissa Guers) un’enigmatica adolescente unica sospettata dell’assassinio di Flora, la sua migliore amica. Dopo un periodo di detenzione, Lise viene posta agli arresti domiciliali. Dopo due anni per la ragazza inizia il processo che la vede come unica imputata d’omicidio.
Quando il procedimento giudiziario inizia, difesa (Annie Mercier) e pubblico ministero (Anaïs Demoustier) sostengono e dipanano le reciproche argomentazioni e la storia di Lise diviene uno squarcio sul mondo inquieto dell’adolescenza e sui condizionamenti del giudizio morale della società contemporanea. Chi è Lise? Chi era Flora? Il processo è davvero volto a conoscere la verità o si sta cercando un colpevole la cui moralità può essere (e viene) messa in discussione?
Lise è una figura silenziosa il cui sguardo non vacilla mai e il cui volto non lascia mai sfuggire espressioni di paura o rimorso. Ella è rinchiusa in un mutismo che impedisce ai suoi pensieri e sentimenti di essere conosciuti alla corte, così come a noi spettatori e spettatrici, ma soprattutto ai suoi genitori, la cui vita famigliare e la convinzione di conoscere la figlia viene stravolta, infranta in una giornata estiva, una metaforica ultima giornata di sole.
La ragazza con il braccialetto si apre nella tranquillità delle spiagge di Bernerie-en-Retz, località balneare nella regione dei Paesi della Loira, quando la vita di Céline (Chiara Mastroianni) e Bruno (Roschdy Zem) e dei loro figli, Lise e Jules (Paul Aïssaoui-Cuvelier), viene interrotta dall’arrivo inaspettato della polizia. Lise ha sedici anni e senza dare spiegazioni gli agenti le chiedendo di seguirli: l’immagine idilliaca della vita famigliare si frantuma.
Il film non ci mostrerà altre immagini del passato, quella che è stata l’esistenza di Lise e delle persone a lei care ci viene raccontata attraverso le testimonianze, trasformando noi spettatori in veri e proprio membri della giuria. Non abbiamo certezze o prove, solo la potenza delle parole che si susseguono in quell’aula di tribunale, ma ci resta quest’ immagine famigliare, un momento a cui, per i seguenti anni, Bruno e Céline cercheranno di tornare con la memoria, alla ricerca di un indizio, di una prova e al contempo una rimembranza, un ultimo fuggevole momento di felicità, come può essere una giornata al mare nella casa di famiglia.
I genitori di Lise cercano di far fronte agli eventi drammatici restando uniti e supportando la figlia, tuttavia durante il processo emergono sempre più paure e timori su Lise, che sul banco dei testimoni si chiude nel silenzio e la cui personalità si dimostra sempre più inattesa e sconcertante. Bruno è protettivo ed è presente in ogni fase del processo, Cèline, invece, è terrorizzata dal destino della figlia, teme che venga condannata anche se convinta dell’innocenza di Lise.
Durante lo svolgimento del processo in Corte d’assise, i dibattimenti che si susseguono portano in luce elementi della vita privata di Lise e alla scoperta di quello che è ritenuto il movente dell’atroce atto. Un mese prima della morte di Flora, quest’ultima aveva girato un video dal contenuto pornografico all’amica e lo aveva caricato online per gelosia nei confronti del ragazzo con cui Lise ha avuto un rapporto. La tesi del pubblico ministero è che Lise avesse finto di perdonare l’amica per vendicarsi, una tesi sostenuta umiliando e insultando la moralità di Lise, una ragazza che stata vivendo liberamente la sua sessualità e che dopo essere stata vittima di un reato quale il revenge porn viene, invece, colpevolizzata. Durante il processo l’avvocata che ricopre il ruolo di pubblico ministero sostiene che Lise sia una ragazza facile, una giovane fredda e spietata, senza empatia, dipinge un mostro a partire da quel video, unica prova che viene presentata come movente durante un processo in cui le prove materiali sono assenti o lacunose.
Il regista Stéphane Demoustier ha affermato che «[…] il processo funge da specchio ingranditore delle relazioni intergenerazionali. L’eroina per me rappresenta “l’Altro” assoluto, poiché è una donna e adolescente. Ed è per questo che ho costruito la sceneggiatura intorno al mistero che questa giovane donna rappresenta ai miei occhi». A colpire dell’opera è il punto di vista dei genitori, l’infrangersi della convinzione di conoscere i propri figli ma anche l’accettarli nel loro essere altri, senza giudizi.
Il processo giudiziario non è stato realizzato secondo stilemi documentaristici, ma appare reale. Il regista ha passato molto tempo all’interno della Corte d’assise, la sceneggiatura è stata poi riletta da giudici e avvocati e il film è stato girato all’interno di una vera aula di tribunale. Elementi, questi, che rendono ancora più forte questo ritratto giudiziario in cui le parole eloquenti di giudici e avvocati plasmano il racconto, mentre noi, spettatori e spettatrici, siamo alla ricerca di una verità che potremmo non ottenere, un’opinione che si muove testimonianza dopo testimonianza, cambiando e modificandosi a seconda della propria sensibilità.
L’opera è forte del potere della parola, ma il cinema è una realtà che ha a che
fare con le immagini, le inquadrature e il sonoro. Tutto comunica ne La ragazza con il braccialetto dalla colonna sonora ricca di leitmotiv e suoni topici, ai silenzi, che assumono molteplici significati. Lise non si conforma mai all’atteggiamento che ci si aspetta debba tenere come accusata, non piange, non si commuove, non si pone sulla difensiva, afferma di non sapere cosa sente o cosa pensa riguardo gli avvenimenti: una forma di protezione e
vulnerabilità che viene interpretata come una freddezza e indifferenza verso quanto accaduto.
Melissa Guers regala al pubblico la sua prima interpretazione cinematografica in una performance impressionante, capace di valorizzare qui silenzi così potenti e paradossalmente assordanti.
Per tutto il corso del film non vi è la ricerca di un mostro, ma una riflessione prudente e modesta che mette in discussione morali e pensieri ottusi tramite quel volto impassibile di Lise, una maschera di fragilità sepolte nel profondo che non permettono di conoscere la verità, nemmeno al termine del processo, e il braccialetto (cavigliera elettronica) è il dettaglio significante, è il costante ricordo del sospetto.