La sala professori recensione film di Ilker Çatak con Leonie Benesch, Michael Klammer, Rafael Stachowiak e Eva Löbau.
Carla Nowak (Leonie Benesch) è una giovane insegnante al primo incarico in una grande scuola tedesca. I suoi insegnamenti sembrano dare i frutti sperati: quasi tutti gli studenti si impegnano e ottengono buoni risultati. Tuttavia, un caso legato a furti da parte di una persona apparentemente non identificata potrebbe avere gravi conseguenze, sia per la sua carriera professionale che per la scuola stessa.
Niente sarà più come prima.
La sala professori vincitore del C.I.C.A.E. (premio della Confederazione internazionale dei cinema d’essai), del Label Europa Cinemas alla scorsa Berlinale e presentato nella sezione Forum segna il ritorno alla regia per Ilker Çatak, dopo Räuberhände del 2021.
Il nuovo lavoro del regista tedesco (candidato a miglior film internazionale agli Oscar del 2024 e in uscita nelle sale italiane a partire dal 29 febbraio tramite Lucky Red) racconta di una insegnante dai metodi educativi gentili che avrà a che fare con un ambiente scolastico ostile e un caso misterioso da risolvere, il tutto narrato quasi in prima persona e svolto per gran parte all’interno delle mura della scuola.
Il regista Çatak, non a caso, mette al centro della narrazione la professoressa per immergere lo spettatore fin da subito nel clima nocivo che sta vivendo la stessa insegnante, senza perdersi in fronzoli inutili.
Purtroppo l’ottimo spunto di partenza viene reiterato più e più volte senza mai giungere ad una chiusa, a tal punto da lasciare più di un dubbio (le sequenze con i bambini che sostituiscono gli organi preposti a condurre le indagini sono terrificanti per come vengono messe in scena e questo è solo la punta dell’iceberg).
Non aiuta nemmeno il finale semi aperto a cambiare le carte in tavola, anzi per certi versi va a peggiorare già la claudicante economia del film.
La sala professori non è un film sbagliato (grossi errori a livello di regia, di montaggio e di fotografia non ce ne sono, eccetto forse nei primi dieci minuti dove è tutto in fuori fuoco e traballante) ma non si riesce a trovare un senso a livello di scrittura.
Certo, si resta in apprensione per le sorti della professoressa però in maniera poco partecipativa. Sembra quasi che si debba attendere l’esito finale solo perché previsto nella sceneggiatura. Un compitino – sgraziato oseremmo dire – e nulla più.
La pur bella prova attoriale di Leonie Benesch (l’unico elemento positivo del film) passa inosservata e in alcuni momenti addirittura assente; ed è un peccato considerando che il lungometraggio poggia l’attenzione quasi interamente su di lei.
Nel 2024 proporre un personaggio così intrigante sulla carta, nonostante i diversi limiti nel soggetto e nella sceneggiatura, non è concepibile, per poi trasformalo in una rappresentazione assolutamente scialba.
Si potrebbe dire: “Va bene, il protagonista è scritto bene, ma è davvero finita qui?”
E pensare che le premesse per un film interessante c’erano tutte: una storia ad ampio respiro (o meglio universale, viste le tematiche trattate) e una messa in scena all’apparenza convincente, ma purtroppo, forse per paura di non scoprirsi più di tanto e rimanere rinchiuso in dei confini limitati, il film risulta caratterizzato non solo da un’andatura squilibrata dell’arco narrativo, ma anche della struttura generale.
In ogni caso, se il film ha ottenuto diversi premi e candidature c’è senz’altro un motivo valido, soprattutto considerando la spietata concorrenza tra le opere che potevano entrare a far parte dell’ambita cinquina dei lungometraggi candidati al miglior film internazionale.
Davvero un gran peccato.
Il trailer del film: