La scuola cattolica recensione film di Stefano Mordini con Benedetta Porcaroli, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca e Giulio Pranno
C’è un’Italia comatosa ne La scuola cattolica di Stefano Mordini. Una società che abita il cattolicesimo a proprio uso e consumo e lo impugna per condurre una vita repressa e meschina, senza che questo muova un dito per evitarlo. Una collusione morale che si manifesta in tutto il suo malato splendore nella Roma bene, la capsula di Petri che Edoardo Albinati aveva scelto in passato per il suo libro come punto di osservazione privilegiato dei feroci anni Settanta. Famiglie ricche, famiglie vuote, nuclei dilaniati da un controllo maniacale delle coscienze che straborda non appena se ne presenta l’occasione.
Il massacro del Circeo è l’obiettivo verso cui convergono tutte le storie e tutti i profili tracciati, il macigno che i giovani attori (Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno, Emanuele Maria Di Stefano, ma la lista è molta lunga) devono condividere e provare a rendere digeribile per chi con quella realtà non ci ha mai avuto a che fare. Cosa frulla nella testa di tre studenti universitari che rapiscono e seviziano due studentesse sul litorale, uccidendone una? Come si indagano le cause di clima teso e sul punto di deflagrare disastrosamente? La risposta è frammentata, complessa, dislocata su più fronti ma imperniata sull’istituzione cattolica comune a tutti i personaggi. Il regista di Pericle il nero ne mette insieme i pezzi con il filo fornito dai passaggi letterari trasformati in voce narrante, ma il rammendo è in bella vista.
Il massacro da affrontare rende il contesto funzionale e contamina una narrazione che mira ad una conclusione nel modo più impersonale possibile. Lo sfondo sui cui i personaggi si muovono non vive, rimane inerte e sordo alle implicazioni della loro miserabile umanità. Le pieghe del distacco e della frustrazione in cui dovrebbero però emergere la sostanza e le micce della tragedia del 1975 non hanno lo spessore necessario a far sussultare lo spettatore. Ne risente l’interpretazione del giovanissimo cast, che non si lascia mai andare e viene quasi frenato dal rispetto di una ricostruzione della strage, prima morale e poi specifica.
La coltivazione in provetta non ha proliferato abbastanza, i campioni delle malattie contratte in quel periodo storico non sono tali da poter essere analizzati a dovere, alcune addirittura non presenti. L’etichetta riporta: film necessario che non si traduce in film riuscito. Un vero peccato.