La signora Harris va a Parigi recensione film di Anthony Fabian con Lesley Manville, Isabelle Huppert, Lambert Wilson, Alba Baptista e Lucas Bravo
Tratto dall’omonimo romanzo di Paul Gallico, La signora Harris va a Parigi è il nuovo lungometraggio di Anthony Fabian, approdato nella sezione Grand Public alla 17esima Festa del Cinema di Roma.
Mrs. Harris (Lesley Manville) è una tenera domestica londinese che, dopo aver perso il marito durante il Secondo Conflitto Mondiale, inseguirà un sogno difficilmente realizzabile. Sfortunatamente bastano poche sequenze per iniziare a intravedere una povertà drammaturgica davvero desolante, che non conoscerà alcuna redenzione nel prevedibile svolgersi della vicenda. Dopo aver avuto conferma della morte del marito al fronte, La signora Harris continuerà a svolgere con particolare devozione il suo impiego e, durante la pulizia di una nobile dimora, si imbatterà nello splendore di un abito di Christian Dior, del quale si innamorerà perdutamente all’istante. La signora Harris inizierà da subito a lesinare attentamente le spese, al fine di raggiungere l’agognata cifra del lussuoso abito.
È già a partire da questa sterile chiamata all’avventura e dal suo svolgimento, che il plot ci lascia alquanto perplessi, a causa di rocamboleschi colpi di fortuna e sfide fin troppo facili per la protagonista. Difatti, l’eccessiva semplicità sarà un difetto caratterizzante più aspetti della pellicola, sia a livello di puro intreccio narrativo che di rapporti tra i personaggi. Nonostante all’aumentare di personaggi e conseguenti linee narrative coinvolte, ci si aspetterebbe un certo incremento in quanto a spessore drammaturgico delle dinamiche, è proprio quando Mrs. Harris si recherà a Parigi per ottenere il prezioso vestito, che l’insistente semplificazione raggiungerà livelli quasi insostenibili. Ogni singolo ostacolo, anche il più ostico, verrà agilmente risolto senza l’accenno della minima fatica, trasformando la vicenda in una prevedibile sequela di avvenimenti positivi.
L’unica eccezione pare essere la direttrice della boutique Dior, interpretata da Isabelle Huppert, la quale riuscirà apparentemente a innescare dei conflitti. Tuttavia, anche in questo caso, il tutto verrà violentemente stroncato da soluzioni al limite del ridicolo, dove tutto appare noiosamente sdolcinato e comodo. Aiutano poco o nulla i timidi accenni a una sottintesa lotta di classe, anch’essi tragicamente risolti in qualche smielata linea di dialogo e due pacche sulla spalla.
Sul piano prettamente tecnico il film non presenta difetti evidenti, ma anche in questo frangente dispiace constatare l’eccessiva pulizia di un’ambientazione sempre accogliente, persino nelle situazioni in cui è la stessa sceneggiatura a suggerire atmosfere sporche e inospitali. La signora Harris va a Parigi viene inserita nel genere commedia drammatica, ma, in tutta onestà, ci domandiamo perplessi dove siano le implicazioni drammatiche all’interno di una vicenda incredibilmente fiacca e scontata, difficilmente consigliabile persino all’interno del permissivo panorama delle commedie per famiglie.