La stanza accanto recensione film di Pedro Almodóvar con Julienne Moore, Tilda Swinton, John Turturro, Alessandro Nivola e Victoria Luengo
Se si scorre il panorama cinematografico fino a oggi, di film che parlano di morte ce ne sono tanti. Il primo che viene in mente è sicuramente Vi presento Joe Black (Martin Brest, 1998) in cui la morte, vestita da straniero di bell’aspetto, fa visita al cuore di un uomo potente prima di accompagnarlo verso l’altra dimensione. C’è un altro film più recente, con venature più comiche ma profondamente riflessivo: Io prima di te (Thea Sarrock, 2016) dove la morte bussa alla porta di un ragazzo trentenne paralizzato per sempre e costretto su una sedia a rotelle per porre fine al suo tragico destino.
Io prima di te ‒ Me Before You, titolo originale ‒ parla di eutanasia, di quella “morte assistita” a cui William Traynor (Sam Clafin) ricorre per sperare in un al di là migliore. Al giorno d’oggi, il regista spagnolo Pedro Almodóvar ha deciso di (ri)prendere in mano tale tematica nel suo film La stanza accanto. Vincitore del Leone d’oro per il Miglior Film all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
La stanza accanto racconta di Martha (Tilda Swinton), allettata in ospedale per un tumore allo stadio terminale e della figlia con cui non parla da tempo a causa di uno spiacevole fraintendimento. Tra di loro si insinua l’amica storica Ingrid (Julienne Moore), una scrittrice di successo che aiuta Martha ad affrontare il suo dolore fino agli ultimi istanti di vita in una casa lussuosa in mezzo a una riserva naturale del New England, tra il cinguettio degli uccelli, la pace del luogo e i ricordi del loro passato funesto cercando soluzioni concrete per combattere la lotta contro l’orrore.
Trama interessante a ben vedere: non si parla solo di morte ma anche di amicizia, amore, conflitti interiori ‒ Martha è una reporter che ha lavorato nel bel mezzo della guerra ‒ e di esistenza trascritta sulle pagine di libri ‒ Ingrid è una nota romanziera autobiografica.
Tante idee al centro, una in particolare domina tutte le altre: l’eutanasia. Martha con un cancro degenerativo sceglie di ricorrere a una pillola che spegne tutti i desideri, la cultura, il suo sapere che un giorno verrà pubblicato da Ingrid grazie ai suoi preziosi appunti-diario con annotazioni inedite. Il suicidio assistito coinvolge esclusivamente sé stessa. Ingrid ne esce provata, inerme e indenne. Rispetta le linee guida imposte dal coraggio di Martha. Osserva, per ricordare una memoria brillante che non c’è più in una giornata di neve seduta accanto alla figlia.
È un argomento spinoso fatto di opinioni a favore o contro quello dell’eutanasia. I risvolti politici odierni illuminano non poco. Forse è questo che ha portato Pedro Almodóvar a vincere il Leone d’Oro al Festival di Venezia. Un tema coinvolgente, stimolante, strappa lacrime sulla morte ricercata senza nessun ostacolo. Tuttavia, per affrontarlo in una certa maniera, Almodóvar doveva spingersi bel oltre ciò che si vede. Non serviva attenersi esclusivamente al romanzo di riferimento Attraverso la vita di Sigrid Nunez di cui La stanza accanto è l’adattamento cinematografico. Pedro Almodóvar doveva osare, andare più in profondità sulla questione, sciogliere tutti i nodi che rimangono sul pettine. Forse si è lasciato infatuare dalla bravura di Julienne Moore e Tilda Swinton, forse ha voluto lasciare in sospeso la controversia perché ancora troppo delicata. Forse voleva lasciare che una poesia spiegasse al suo posto.
Troppi “forse”. La sensazione che si prova rimane solo una: incompletezza, insoddisfazione emotiva perché il cuore, la mente e gli occhi chiedevano di più. La stanza accanto è un film sospeso, come sospesa è la critica che il film di Pedro Almodóvar deve assorbire, reduce di pellicole molto più elaborate e affascinanti sul piano audiovisivo.