La syndicaliste recensione film di Jean-Paul Salomé con Isabelle Huppert presentato a Venezia 79
Tra i film in corso nella sezione Orizzonti di Venezia 79, c’era anche La syndicaliste, con il quale Jean-Paul Salomé e Isabelle Huppert danno vita alla storia vera di Maureen Kearney, rappresentante sindacale di Areva, multinazionale francese specializzata nell’energia nucleare.
Nel dicembre 2012, la collaboratrice domestica trovò Kearney legata ad una sedia e seviziata: un evento che venne messo in relazione alla forte opposizione della donna alle trattative segrete tra Areva, il gruppo Électricité de France e l’operatore nucleare cinese CGNPC, che prevedevano il trasferimento delle tecnologie delle centrali nucleari, col rischio di una perdita di oltre cinquantamila posti di lavoro in Francia.
Kearney aveva già ricevuto minacce telefoniche, ma le forze dell’ordine non trovarono elementi che potessero supportare la tesi dell’aggressione, sollevando il sospetto di una messinscena della sindacalista per ottenere l’attenzione dei media. Iniziò così un lungo processo giudiziario e mediatico contro la donna.
Il film di Jean-Paul Salomé cerca di giocare col dubbio, senza riuscirci in pieno. In una pellicola simile ci si aspetta di provare le insinuazioni delle forze dell’ordine. La prima parte del processo e le indagini che videro direttamente coinvolta la protagonista dei fatti non sono sufficientemente forti da poter insinuare i sospetti necessari nel pubblico. Al contrario è facile credere alla veridicità della denuncia da parte della donna, riuscendo ad entrare perfettamente in sintonia con lei grazie alla magistrale interpretazione di Isabelle Huppert. La struttura narrativa, infatti, è carente.
Il fatto che non vi fossero sufficienti prove, né sufficienti dettagli, la freddezza della sindacalista nella ricostruzione dell’evento: dubbi, sì, ma senza una reale costruzione thriller. Salomé avrebbe potuto fare di più nella gestione dei tempi, così da poter far provare al pubblico un maggior senso di giustizia una volta arrivati alla risoluzione del caso.
Ciò che è accaduto a Maureen Kearney trova giusta rappresentazione nell’espressività della Huppert, ma poco nel mordente della storia. In questo modo si finisce col far diventare lento un film che potenzialmente avrebbe avuto la capacità di incollare lo spettatore allo schermo. I fatti parlano, rendendo il tutto fin troppo didascalico. Si esce, così, dalla sala con una pellicola che racconta molto di più della corruzione del sistema politico francese e meno emotivamente legati alle crude vicende che hanno colpito la pelle di una donna. Huppert dà al pubblico la possibilità di conoscere il disagio e il dolore, così come l’impossibilità del mentire davanti a dei fatti che hanno completamente sconvolto la sua vita. Ma ciò non basta e non è corretto far reggere l’intera storia solo alla sua interprete principale.
Jean-Paul Salomé svolge un compito ben fatto, ma spreca il potenziale di una storia così forte da poter essere quasi coercitiva nei riguardi dei sentimenti del pubblico.