La Tenuta (A herdade) recensione film di Tiago Guedes con Albano Jerónimo, Sandra Faleiro, Victória Guerra, Ana Vilela da Costa e Beatriz Brás
Le vicende di una famiglia dagli anni ’40 fino al 1991 sullo sfondo di un Portogallo che viene attraversato dalla Rivoluzione dei Garofani. Tiago Guedes, per la prima volta senza il solidale Federico Serra, racconta attraverso la storia di Joao la vita politica, economica e sociale di un Paese. Una scelta che non può non riecheggiare Novecento di Bernardo Bertolucci e che è figlia di un’adesione a un cinema classico che fa dello stile magniloquente e della ricerca dell’immagine perfetta uno dei suoi obiettivi principali.
Dopo un incipit molto breve in cui viene descritto un passaggio chiave nella definizione del carattere di Joao, La Tenuta (A herdade) si sposta nel 1973 per quella che è la porzione narrativa più ampia del film. Divenuto il proprietario di una delle più grandi tenute europee, sulla riva sud del fiume Tago, il protagonista governa la terra e i contadini che la lavorano con idee fintamente progressiste ma che celano, in realtà, un autoritarismo e un dispotismo di fondo che è lo stesso che caratterizza la sua conduzione familiare.
Joao è un pater familias molto poco empatico, incapace di sopportare la debolezza del figlio, impunemente fedifrago e non disposto a scendere a patti nemmeno con la politica. Questo arco temporale racconta il suo apogeo, la stabilità conquistata, la possibilità di governare come un vecchio monarca i suoi possedimenti, anche se nelle retrovie cominciano a palesarsi e alla fine si manifesteranno le prime avvisaglie del cambiamento, quella Rivoluzione dei Garofani che pose fine al regime autoritario fondato da António de Oliveira Salazar.
Guedes si serve di tutto il tempo che gli serve per caratterizzare i personaggi, per insistere sulle loro contraddizioni, per creare quei conflitti che esploderanno nella parte finale. Il film, infatti, fa un salto in avanti di quasi 20 anni e arriva al 1991 per raccontare il declino di Joao, la sua sconfitta e la fine di un latifondismo che ha lasciato gradualmente spazio alla democrazia. In questo segmento, il regista portoghese forse eccede nei toni melodrammatici ma riesce sempre a mantenere il livello della suspense, creando un orizzonte narrativo che è perfettamente coerente con il messaggio che vuole comunicare.
La potenza delle immagini lo aiuta, soprattutto in una sequenza notturna di grande impatto. A herdade è quindi un film dalle ambizioni importanti, coraggioso, che si perde forse nelle sue lungaggini, ma che ha un respiro unico, tipico delle grandi epopee.
Sergio